L’impugnazione dell’ultimo contratto a tempo determinato non si estende ai precedenti. Nonostante la decadenza, il giudice può comunque dichiarare l’abusiva reiterazione sulla base della verifica della complessiva vicenda contrattuale.

Nota a Cass. 30 maggio 2023, n. 15226

Fabrizio Girolami

La Cassazione, con sentenza n. 15226 del 30 maggio 2023, ha affermato i seguenti importanti principi di diritto:

  • in caso di abusiva successione di contratti di lavoro a termine, l’impugnazione stragiudiziale dell’ultimo contratto della serie non si estende ai contratti precedenti, neppure ove tra un contratto e l’altro sia decorso un termine inferiore a quello di 60 giorni utile per l’impugnativa (ex art. 6, L. n. 604/1966). Ne deriva che il suddetto obbligo di impugnazione in sede stragiudiziale (cui deve far seguito poi il ricorso giudiziale nel termine fissato da prima in 270 giorni e poi in 180 giorni) deve essere adempiuto per ogni singolo contratto, a pena di decadenza;
  • nonostante la dichiarata decadenza del lavoratore dall’impugnazione (in quanto tardiva) dei contratti di lavoro a termine antecedenti l’ultimo, il giudice può comunque tenere conto – nel valutare la legittimità del contratto a termine tempestivamente impugnato – del dato fattuale dell’esistenza di pregressi rapporti a termine, per verificare se l’attività, complessivamente considerata, possa considerarsi effettivamente temporanea o se sussista un’ipotesi di abusiva reiterazione (con superamento della durata massima di 36 mesi stabilita dal D.Lgs. n. 368/2001, nel testo ratione temporis vigente ai fatti di causa), da accertare secondo le statuizioni della sentenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea 14 ottobre 2020, C-681/18, relativa all’istituto parallelo della somministrazione di lavoro.

Nel caso di specie, il lavoratore – che aveva prestato attività presso la medesima società datrice di lavoro sulla base di 8 contratti a termine nel periodo dal 5.4.2011 al 31.10.2014 – aveva rispettato il termine di decadenza legale di 60 giorni dalla cessazione del rapporto per impugnare solo l’ultimo contratto (stipulato il 19.1.2015).

La Corte d’Appello di Brescia, confermando la sentenza di primo grado del Tribunale di Brescia, aveva dichiarato decaduto il lavoratore dall’impugnazione dei contratti a termine precedenti.

Avverso la sentenza del giudice d’appello, il lavoratore aveva proposto ricorso in Cassazione, con due motivi di ricorso: a) con il primo, aveva dedotto che nel caso di plurimi rapporti a tempo determinato succedutisi con sostanziale continuità e comunque con intervalli inferiori al termine di impugnativa stragiudiziale, l’impugnazione dell’ultimo contratto si estende anche ai precedenti poiché la riassunzione del lavoratore entro il termine di decadenza ne impedirebbe il decorso; b) con il secondo, aveva sostenuto che alla costituzione di un contratto a tempo determinato, dopo una lunga serie di contratti a termine tra le stesse parti, devono comunque sussistere ragioni di carattere temporaneo.

Nel giudizio di legittimità, la Cassazione ha rigettato il primo motivo di ricorso e ha accolto il secondo, cassando la sentenza impugnata (con rinvio alla Corte d’Appello di Brescia in diversa composizione). Nello specifico, la sentenza in commento ha osservato quanto segue:

  • con riferimento al primo motivo di ricorso, nell’ambito della specifica disciplina dettata dal D.Lgs. n. 368/2001 (ora abrogato e disciplinato dal D.Lgs. n. 81/2015) per i contratti a termine – come già affermato dalla giurisprudenza di legittimità in tema di successione di contratti di lavoro a termine in somministrazione (cfr., tra le altre, Cass. 25 febbraio 2020, n. 5037) – l’impugnazione dell’ultimo contratto non si estende anche ai precedenti, nemmeno se tra un contratto e l’altro è trascorso un periodo di tempo inferiore a quello utile per l’impugnazione stragiudiziale;
  • l’orientamento della Cassazione sulla somministrazione – che esclude la capacità espansiva dell’impugnazione dell’ultimo contratto di lavoro a termine in somministrazione anche a quelli che lo hanno preceduto – va confermato anche con riguardo all’istituto della successione di contratti a tempo determinato. Ne consegue che – al di fuori dei casi specifici previsti dall’art. 5, commi 2, 3, e 4, D.Lgs. n. 368/2001 (“per i quali la reiterazione del contratto a termine comporta per legge che il secondo contratto si consideri a tempo indeterminato ovvero che il rapporto sia tale sin dalla stipula del primo contratto”, ipotesi quest’ultima che si verifica nel caso della successione di assunzioni a termine senza soluzione di continuità) “la mera reiterazione dei contratti a termine non può ingenerare alcun affidamento del lavoratore”. In continuità con quanto già affermato dalla giurisprudenza di legittimità nell’ambito della somministrazione a termine, va dunque ribadito che, al di fuori dei casi sopra richiamati, “la singolarità dei contratti e l’inesistenza di un unico continuativo rapporto di lavoro evidenzia la necessità che a ciascuno di essi si applichino le regole inerenti alla loro impugnabilità, venendo altrimenti anticipata in modo non giustificato una eventuale considerazione unitaria del rapporto lavorativo, estranea al fatto storico allegato, il cui rilievo giuridico è oggetto della domanda avanzata”;
  • con riferimento al secondo motivo di ricorso, deve richiamarsi quanto affermato dalla Corte di Giustizia UE – con la sentenza 14 ottobre 2020, C-681/18 in tema di somministrazione annotata in q. sito da A. TAGLIAMONTE e richiamata anche da Cass. 21 luglio 2022, n. 22861, in q. sito, con nota di M.N. BETTINI – secondo cui gli Stati membri devono adottare misure per “preservare la natura temporanea del lavoro tramite agenzia interinale”, al fine di evitare l’assegnazione a un medesimo lavoratore somministrato “di missioni successive presso la stessa impresa utilizzatrice con lo scopo di eludere le disposizioni della direttiva 2008-104 nel suo insieme”;
  • applicando per analogia tale motivazione al contratto a termine ed effettuando una interpretazione della normativa nazionale in maniera conforme al diritto UE, il giudice nazionale è chiamato a valutare l’effetto che la successione dei contratti a termine può avere nell’eludere le norme comunitarie che stabiliscono limiti di durata e quantità per il lavoro a termine;
  • in quest’ottica, l’esistenza storica di rapporti a termine precedenti può e deve essere presa in considerazione al fine di valutare se le ragioni di ricorso al lavoro a termine sono effettivamente di natura temporanea e tale valutazione resta valida anche se il lavoratore è decaduto dalla possibilità di impugnare tali rapporti;
  • pertanto, ancorché la decadenza impedisce al lavoratore di intraprendere un’azione diretta rispetto ai rapporti precedenti non impugnati, il giudice ben può considerarne l’esistenza come antecedenti storici utili al fine di valutare la sussistenza di un abuso nella successione dei contratti e il superamento dei limiti massimi di durata stabiliti dalla normativa vigente.

Sentenza

Abusiva successione di contratti a termine
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