Qualora la riduzione di personale investa un unico reparto aziendale, è lecito limitare la scelta ai dipendenti di tale unità, salvo che questi dimostrino pregresse esperienze in altri reparti.

Nota a Cass. ord. 31 marzo 2023, n. 9128

Francesco Belmonte

In tema di licenziamento collettivo per riduzione di personale, ove la ristrutturazione aziendale interessi una specifica unità produttiva o un settore, la comparazione dei lavoratori per l’individuazione di coloro da avviare a mobilità può essere limitata al personale addetto a quella unità o a quel settore, salvo l’idoneità dei dipendenti del reparto, per il pregresso impiego in altri reparti dell’azienda, ad occupare le posizioni lavorative dei colleghi a questi ultimi addetti.

Ad affermalo è la Corte di Cassazione (ord. 31 marzo 2023, n. 9128), la quale ha dichiarato l’illegittimità del licenziamento collettivo intimato ad una dipendente per violazione dei criteri di scelta di cui all’art. 5, L. n. 223/91, in quanto la società datrice non aveva considerato le esperienze professionali della lavoratrice in altri reparti – oltre che nell’ultima posizione di lavoro soppressa – ed aveva comparato la dipendente con un solo impiegato.

La Suprema Corte, in linea con il consolidato orientamento in materia, ribadisce altresì che l’onere della deduzione e della prova della fungibilità nelle diverse mansioni spetta al lavoratore licenziato (Cass. n. 18190/2016, n. 2284/2018); mentre il datore di lavoro deve provare il fatto che giustifica il più ristretto ambito nel quale la scelta è stata effettuata (principio espresso sin da Cass. n. 8474/2005 e, più di recente, da Cass. n. 15953/2021, n. 33889/2022), ed anche che gli addetti prescelti non svolgessero mansioni fungibili con quelle di dipendenti assegnati ad altri reparti o sedi (cfr., tra le altre, Cass. n. 13783/2006, n. 203/2015, n. 19105/2017, n. 15953/2021 e n. 1380/2022, in q. sito, con nota di M. MOCELLA).

Sul tema, v., in q. sito, Ambito di applicazione, fungibilità e specializzazione nei licenziamenti collettivi per riduzione di personale, a cura di M.N. BETTINI, con la collaborazione di P. PIZZUTI e F. BELMONTE.

 

Sentenza:

Corte di Cassazione – Ordinanza 31 marzo 2023, n. 9128

(Omissis)

Rilevato che

1.la Corte d’appello di Roma, in riforma di sentenza del Tribunale di Cassino, ha accolto il reclamo di (…) e condannato (…) S.p.a. a reintegrarla nel posto di lavoro ed a corrisponderle un’indennità risarcitoria pari alla retribuzione globale di fatto dal giorno del licenziamento al giorno della reintegrazione, non superiore a 12 mensilità, nonché a versare in suo favore i contributi di legge;

2.a fondamento della decisione la Corte distrettuale ha in particolare osservato, in applicazione del principio processuale della “ragione più liquida”, che nella procedura di licenziamento collettivo che aveva portato, dopo un periodo di CIGS, al licenziamento della ricorrente con lettera del 24/3/2017 erano stati violati i criteri di scelta di cui all’art. 5 della legge n. 223/1991, perché non erano state considerate le esperienze professionali della lavoratrice in altri reparti, oltre che nell’ultima posizione di lavoro soppressa, e la medesima era stata comparata con un unico altro impiegato; ciò dopo ampia ricostruzione in fatto delle vicende di crisi aziendale della datrice di lavoro, con intervento di CIGS e sottoscrizione di verbali di accordo 19/3/2015, 5/5/2015, 24/11/2016 circa la gestione degli esuberi presso il sito produttivo di (…) e della storia professionale della lavoratrice, individuata quale unico esubero tra le risorse impiegatizie;

3. avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione la società, affidato a tre motivi; ha resistito con controricorso la lavoratrice; entrambe le parti hanno comunicato memoria;

Considerato che

1.devono essere preliminarmente respinte le eccezioni preliminari di parte controricorrente;

2.in tema di giudizio di legittimità, per soddisfare il requisito dell’esposizione sommaria dei fatti di causa prescritto, a pena di inammissibilità del ricorso per cassazione, dal n. 3 dell’art. 366 c.p.c., non è necessario che tale esposizione costituisca parte a sé stante del ricorso ma è sufficiente che essa risulti in maniera chiara dal contesto dell’atto, attraverso lo svolgimento dei motivi (Cass. n. 17036/2018, n. 15478/2014, n. 15808/2008);

3.la procura ex artt. 83, comma 3, e 365 c.p.c., se incorporata nell’atto di impugnazione, si presume rilasciata anteriormente alla notifica dell’atto che la contiene (Cass. SS. UU. n. 35466/2021, Cass. n. 17866/2013), sicché non rileva, ai fini della verifica della sussistenza della procura, la sua mancata riproduzione o segnalazione nella copia notificata, essendo sufficiente, per l’ammissibilità del ricorso per cassazione, la sua presenza nell’originale (in conformità al principio costituzionale e sovranazionale di effettività, da intendersi pure come agevolezza ragionevole della fruizione della giurisdizione, per cui l’incorporazione di due elementi di natura diversa, il ricorso e la procura, costituisce il compimento, inclusivo e assoluto, cui sono diretti i due componenti, ciascuno dei quali, da solo, non produrrebbe effetti in relazione alla fruizione dei diritti processuali; tale incorporazione non solo attesta la specialità della procura, ma ne conforma anche il profilo temporale facendo sì che la data di emissione del ricorso investa e identifichi cronologicamente anche la procura);

4. con il primo motivo, la società deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 4 e 5 della legge n. 223/1991 e della regola di ripartizione dell’onere probatorio fissata dall’art. 2697 c.c. e dall’art. 115 c.p.c. (art. 360, n. 3, c.p.c.): sostiene l’erroneità dell’affermazione, contenuta nella sentenza impugnata, dell’illegittimità del licenziamento per il fatto che la datrice di lavoro avrebbe limitato l’esame della posizione della lavoratrice, senza comparare la sua posizione con quella degli altri lavoratori impiegati nel settore servizi presso lo stabilimento produttivo di per difetto di prova sulle effettive mansioni svolte dalla lavoratrice in altri reparti, asseritamente dedotte in via generica;

5. con il secondo motivo, deduce violazione delle medesime norme, anche in relazione all’art. 360, n. 5, c.p.c., sottolineando che il criterio dell’infungibilità delle mansioni era stato concordato con le parti sociali;

6. con il terzo motivo, deduce violazione degli artt. 1362 ss. c.c. e 116 c.p.c. (art. 360, n. 3 e 5, c.p.c.), per errato apprezzamento dell’impegno a trasferire in altre aziende del gruppo i lavoratori interessati, che avrebbe dovuto presupporre l’iniziativa dei lavoratori di richiedere il trasferimento, peraltro possibile solo all’estero;

7. i primi due motivi, da trattare congiuntamente perché riguardano entrambi la questione di diritto della violazione dei criteri di scelta in caso di comparazione limitata a singola articolazione aziendale anziché a tutto il complesso produttivo, non sono fondati;

8. la Corte territoriale si è attenuta al principio, consolidato nella giurisprudenza di questa Corte, secondo cui, in tema di licenziamento collettivo per riduzione di personale, ove la ristrutturazione della azienda interessi una specifica unità produttiva o un settore, la comparazione dei lavoratori per l’individuazione di coloro da avviare a mobilità può essere limitata al personale addetto a quella unità o a quel settore, salvo l’idoneità dei dipendenti del reparto, per il pregresso impiego in altri reparti dell’azienda, ad occupare le posizioni lavorative dei colleghi a questi ultimi addetti, spettando ai lavoratori l’onere della deduzione e della prova della fungibilità nelle diverse mansioni (Cass. n. 18190/2016, n. 2284/2018); è onere del datore di lavoro provare il fatto che giustifica il più ristretto ambito nel quale la scelta è stata effettuata (principio espresso sin da Cass. n. 8474/2005 e, più di recente, da Cass. n. 15953/2021, n. 33889/2022), ed anche che gli addetti prescelti non svolgessero mansioni fungibili con quelle di dipendenti assegnati ad altri reparti o sedi (cfr., tra le altre, Cass. n. 13783/2006, n. 203/2015, n. 19105/2017, n. 15953/2021);

9. nel caso in esame, i giudici del merito hanno dato atto che la lavoratrice aveva dedotto di avere, sin dall’inizio del rapporto lavorativo, svolto anche altre mansioni in diversi uffici dell’azienda con le mansioni di impiegata di inquadramento (uffici commerciale, programmazione, acquisti, magazzino, e da ultimo ufficio gestione allocazione stampi), e che la società nulla aveva specificato sul punto al momento della scelta dei dipendenti da licenziare; si tratta di un apprezzamento delle risultanze istruttorie incensurabile in sede di legittimità perché congruamente e logicamente motivato, e conforme alla distribuzione dell’onere probatorio in materia, in base al principio, proprio del rito del lavoro, di circolarità tra oneri di allegazione, oneri di contestazione ed oneri di prova (cfr. Cass. n. 25148/2017);

10. corretto, pertanto, deve ritenersi, nel caso di specie, il riferimento della Corte di merito ai concetti di fungibilità e professionalità della lavoratrice coinvolta nella procedura di licenziamento collettivo, perché non si può limitare la scelta ai soli addetti ad un reparto se questi sono idonei, per acquisita esperienza e per pregresso e frequente svolgimento della propria attività in altri reparti, a svolgere altre attività, ma si deve ampliare la scelta coinvolgendo appunto lavoratori di altri reparti (cfr. Cass. n. 9888/2006, n. 26679/2011);

la comparazione tra lavoratori di professionalità equivalente deve tener conto non solo delle mansioni concretamente svolte in quel momento, ma anche della capacità professionale degli addetti ai settori da sopprimere, mettendo quindi a confronto tutti coloro che siano in grado di svolgere le mansioni proprie dei settori che sopravvivono, indipendentemente dal fatto che in concreto non le esercitino al momento del licenziamento collettivo, in base a criteri oggettivi e trasparenti (cfr. Cass. n. 6086/2021, n. 33889/2022, n. 23041/2018); né la Corte di merito ha censurato in astratto il criterio raccolta generale dell’Infungibilità delle mansioni concordato tra le parti sociali ma ne ha rilevato l’incoerente applicazione in concreto per difetto di prova dell’inidoneità della lavoratrice a svolgere altre mansioni, tenuto conto della sua pregressa professionalità, con conseguente incompleta comparazione;

11. il terzo motivo di ricorso deve, invece, essere dichiarato inammissibile; esso è invero formulato in termini dubitativi, e non viene evidenziata la decisività della questione, posto che la sentenza risulta sorretta da ratio decidendi distinta ed autonoma da quella oggetto della censura, giuridicamente e logicamente sufficiente a giustificare la decisione adottata; il motivo di ricorso non risulterebbe comunque idoneo a determinare l’annullamento della sentenza impugnata, risultando comunque consolidata l’autonoma motivazione oggetto della precedente censura, non fondata per i motivi sopra espressi (v. Cass. n. 15399/2018);

12. il ricorso deve, pertanto, esser respinto, con regolazione delle spese del grado, liquidate come da dispositivo, secondo il regime della soccombenza; non emergono profili apprezzabili di temerarietà della lite; alla declaratoria di inammissibilità dell’impugnazione consegue il raddoppio del contributo unificato, ove dovuto nella ricorrenza dei presupposti processuali.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso.

Condanna parte ricorrente alla rifusione delle spese del presente giudizio, che liquida in € 5.500 per compensi, € 200 per esborsi, spese generali al 15% ed accessori di legge:

Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.p.r. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto.

Comparazione tra lavoratori nel licenziamento collettivo
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