L’abrogazione del divieto di adibizione a mansioni inferiori comporta un’estensione dell’obbligo di ripescaggio.

Nota a App. Napoli 28 marzo 2023 (R.G. n. 582/2022)

Fabrizio Girolami

In caso di licenziamento per giustificato motivo oggettivo (per soppressione di una posizione lavorativa) incombe sul datore di lavoro – nel rispetto dei principi di correttezza e buona fede delle scelte imprenditoriali – l’onere di allegazione e di prova dell’esistenza del giustificato motivo oggettivo che include anche l’impossibilità del c.d. repêchage (ripescaggio), ovverosia dell’inesistenza di altri posti di lavoro in cui utilmente ricollocare il lavoratore. Il datore, dunque, prima di intimare il recesso, ha l’onere di verificare l’esistenza – presso la propria organizzazione aziendale – di posizioni lavorative alternative disponibili a cui adibire il lavoratore il cui posto è stato soppresso, non solo con riferimento a mansioni riconducibili alla categoria di appartenenza o, comunque, al livello posseduto dal prestatore al momento del recesso, ma anche a quelle di tipo inferiore.

Lo ha affermato la Corte d’Appello di Napoli, con la sentenza 28 marzo 2023 (R.G. n. 582/2022), in relazione alla vicenda di alcuni lavoratori che dopo essere stati inizialmente licenziati nell’ambito di una procedura di licenziamento collettivo (e poi reintegrati per ordine giudiziale per violazione dei criteri di scelta di cui alla L. n. 223/1991) avevano poi subìto un nuovo licenziamento individuale per giustificato motivo oggettivo, motivato dalla soppressione del servizio di help desk sia presso la sede di Napoli (cui i lavoratori erano assegnati) che nelle altre sedi esistenti sul territorio nazionale, con esternalizzazione del servizio medesimo a un fornitore esterno.

Il Collegio napoletano, con la sentenza in commento, ha affermato quanto segue:

  • nel vigente ordinamento giuslavoristico, il datore di lavoro, in caso di licenziamento per giustificato motivo oggettivo, non è più vincolato al rispetto delle stringenti disposizioni in materia di divieto di variazione in pejus delle mansioni di cui al precedente testo dell’art. 2013 c.c. (da ultimo, sostituito dall’art. 3 del D.Lgs. n. 81/2015). Il nuovo art. 2103 c.c. consente, infatti, l’adibizione del lavoratore a mansioni appartenenti a un livello di inquadramento inferiore in ragione di una modifica degli assetti organizzativi aziendali che incidano sulla sua posizione (art. 2013, co. 2, c.c.). In quest’ottica, l’art. 2103 c.c., al comma 6, permette la stipula di “patti di dequalificazione” con il prestatore aventi la funzione di tutelare il posto di lavoro;
  • la riforma dell’art. 2103 c.c. ha determinato un ampliamento dell’ambito di applicazione dell’obbligo di repêchage, essendo stato superato il limite precedentemente posto al datore di lavoro del rispetto della capacità professionale acquisita dal lavoratore (abrogazione del c.d. principio di equivalenza professionale);
  • per effetto delle modifiche apportate da D.Lgs. n. 81/2015 all’art. 2103 c.c., l’obbligo di repêchage – elemento costitutivo di legittimità del licenziamento per giustificato motivo oggettivo – ha esteso il proprio raggio di azione obbligando il datore di lavoro, prima di procedere al licenziamento per giustificato motivo oggettivo, a ricercare posizioni lavorative alternative , non solo con riferimento a mansioni riconducibili alla categoria di appartenenza o, comunque, al livello posseduto dal prestatore al momento del recesso, ma anche a quelle di tipo inferiore;
  • l’onere della prova sul corretto esperimento dell’obbligo di ripescaggio incombe esclusivamente sul datore di lavoro, il quale deve dimostrare di aver tentato ogni soluzione alternativa al recesso, anche attraverso l’eventuale adibizione del lavoratore a mansioni inferiori;
  • sulla base degli atti di causa, l’obbligo di repêchage della società non è stato correttamente assolto, con conseguente illegittimità degli intimati recessi dai rapporti di lavoro.

Sentenza

App. Napoli 28 marzo 2023 (R.G. n. 582/2022)

FATTO E DIRITTO

Con ricorsi depositati in data 21.07.2020 e successivamente riuniti, le parti di cui in epigrafe hanno proposto opposizione ai sensi dell’art,1 comma 58 della legge nr.92/2012 avverso l’ordinanza del Tribunale di Napoli, in funzione di giudice del lavoro del 23.06.2020, a seguito di ricorso di cui all’art.1 comma 47 e segg. della legge nr.92/2012 da parte degli stessi attori, con la quale vennero accolte le loro domande di declaratoria di illegittimità dei licenziamenti irrogati dal datore di lavoro con comunicazione del 16.07.2018 nonché di condanna della società datrice di lavoro al pagamento del risarcimento del danno pari ad un’indennità omnicomprensiva pari a venti mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto goduta.

Con la prima opposizione la società di cui in epigrafe ha dedotto la legittimità dei recessi, in quanto il servizio di help desk, al quale erano stati assegnati gli istanti, era stato soppresso sia presso la sede di Napoli che nelle altre sedi esistenti sul territorio nazionale; ha sostento che l’obbligo di repechage non poteva essere intese nel senso prospettato dalle parti ricorrenti, bensì con riferimento al livello di inquadramento posseduto, alle loro effettiva mansioni ed al bagaglio professionale acquisito nel corso della loro attività, per cui la società bene avrebbe dedotto e provato con riguardo alla loro non possibile ricollocazione aziendale in quanto non vi erano posizioni prive di titolare nel II livello del CCNL di settore Commercio nelle specifiche mansioni di operatori informatici; in subordine l’impresa ha chiesto la riduzione del risarcimento del danno nella misura minima di legge con la restituzione di quanto fosse stato corrisposto medio tempore.

Gli istanti di cui in epigrafe hanno proposto opposizione avverso la stessa ordinanza ed hanno chiesto la declaratoria di nullità e/o ritorsività degli impugnati recessi, perché disposti sulla base della stessa motivazione di un precedente licenziamento collettivo, quello intimato in data 01.07.2017, e poi dichiarato illegittimo dal Tribunale di Napoli, in funzione di giudice del lavoro, con ordinanza nr.11838/2017, e cioè la soppressione del servizio help desk a livello nazionale, nonché perché i ricorrenti erano stati reintegrati nelle stesse posizioni soppresse con il precedente licenziamento collettivo; gli odierni reclamanti hanno sostenuto la violazione dell’obbligo di repechage, in quanto quest’ultimo obbligo non poteva ritenersi assolto con riguardo al solo servizio soppresso a livello nazionale in base alla nuova nozione di mansioni equivalenti introdotta dall’ordinamento giuridico con la riforma dell’art.2103 c.c., per tale motivo hanno chiesto la condanna del datore di lavoro al risarcimento del danno nella misura massima di legge di 24 mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto goduta.

Il Tribunale di Napoli, in funzione di giudice del lavoro, con sentenza nr.928/2022 del 21.02.2022 ha rigettato l’opposizione proposta dalla società ed in parziale accoglimento della opposizione proposta dai ricorrenti ha condannato la SI s.r.l. al risarcimento del danno in favore degli odierni istanti nella misura di 24 mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto goduta ed ha confermato l’illegittimità del licenziamento irrogato con comunicazione del 16.07.2018. Il giudice di prime cure ha riportato in primo luogo la comunicazione del licenziamento dell’01.06.2017: <<… In particolare, l’attività di help desk è stata oggetto di esternalizzazione con passaggio ad un fornitore esterno. Come noto, a seguito della lettera di cui sopra è stata espletata nei modi e nei termini di legge tutta la procedura di licenziamento collettivo… Inoltre, nonostante l’azienda si sia attivata per far ricevere una congrua proposta di collocazione da parte della società Max Italia (…) lei non ha accettato tale proposta. La informiamo altresì che non esistono altre posizioni all’interno dell’organizzazione aziendale per poterla ricollocare…>>. Con ordinanza resa dal Tribunale di Napoli, in funzione di giudice del lavoro, la nr.26627/2017 del 23.05.2018, venne dichiarato illegittimo il licenziamento irrogato agli odierni reclamanti e venne ordinata la loro reintegrazione nei rispettivi posti di lavoro; costoro furono reintegrati nelle stesse posizioni lavorative esternalizzate e con successiva comunicazione del 16.07.2018 vennero di nuovo licenziati, questa volta a titolo di giustificato motivo oggettivo. Si legge nell’ultima comunicazione: << … la società ha interamente esternalizzato lo specifico servizio di help desk, composto da personale idoneo a svolgere le sole mansioni di operatore di primo livello alle quali Ella era da sempre e pressochè esclusivamente stato addetto, sopprimendo in ogni sua sede il corrispondente reparto ed affidando ad un fornitore esterno, la integrale gestione di tutte le corrispondenti attività. Tenuto conto della Sua specifica professionalità e del bagaglio professionale acquisito, al esternalizzazione del servizio di help -desk e la contestuale soppressione delle medesime lavorazioni anche presso tutte le altre sede alla società ubicate nel territorio nazionale, unitamente alla insussistenza di profili mansionari analoghi, anche inferiori a quelli a Lei affidati, escludono di poterla ricollocare in una diversa sede e/o posizione lavorativa nell’ambito aziendale….>>. Gli istanti dedussero che i recessi erano stati disposti per mancanza di posizioni lavorative nello stesso reparto soppresso e tale comportamento datoriale avrebbe dovuto essere qualificato come licenziamento in frode alla legge ai sensi dell’art.1344 c.c. in quanto la compagine sociale avrebbe eluso l’ordine giudiziale di effettiva reintegrazione nei rispettivi posti di lavoro. Il Tribunale di Napoli, in funzione di giudice del lavoro, non ha ritenuto ritorsivi e nulli gli irrogati recessi, in quanto il licenziamento collettivo venne dichiarato illegittimo per violazione dei criteri di scelta per violazione delle norme di cui all’art.4 comma 12 e dell’art.5 comma terzo della legge nr.223/1991 nonché per mancata indicazione della possibile ricollocazione dei dipendenti nelle stesse mansioni nelle sedi di Mestre e di Ancona, tanto è vero che il contratto di affidamento del servizio help desk era stato stipulato tra la SI s.r.l. e la Max Italia s.r.l. in data 01.12.2017, nel periodo intercorrente tra il primo ed il secondo tipo di licenziamento; all’esito della prova orale, il giudice di primo grado ha rilevato che gli istanti avevano svolto mansioni di sistemisti e non mansioni di gestori di sistema, ben più complessi; ha sottolineato che nelle altre sedi nazionali vi erano posizioni solo di gestori di sistema, per cui gli istanti non erano ricollocabili in mansioni analoghe; cionondimeno, la società non aveva assolto al suo onere probatorio, trattandosi di dipendenti inquadrati nel II livello del CCNL Commercio, nella cui declaratoria sono inserite figure professionali molto ampie e variegate e << La società datrice di lavoro non ha mai prodotto in giudizio l’organigramma aziendale e, conseguentemente, non ha dimostrato che in azienda non vi fossero posizioni lavorative corrispondenti al livello di inquadramento attribuito ai ricorrenti o ad un livello di inquadramento inferiore al secondo. Deve ritenersi, pertanto, che la società non abbia adeguatamente assolto al proprio onere di giustificare i licenziamenti con riguardo alla inesistenza di profili mansionari anche inferiori rispetto a quelli rivestiti dai ricorrenti nell’ambito di tutte le proprie sedi a livello nazionale in cui poter eventualmente ricollocare gli stessi.>>. Il Tribunale di Napoli, in funzione di giudice del lavoro, ha ritenuto i recessi impugnati non manifestamente infondati ai sensi dell’art.18 comma quarto della legge nr.300/1970 , ma solo carenti di un loro elemento costitutivo e cioè l’obbligo di repechage, e con specifica motivazione sui criteri di liquidazione del danno, ha condannato la società al risarcimento del danno parametrato a 18 mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto goduta con accessori di legge di cui all’art.429 c.p.c. e con vittoria di spese di lite con distrazione, quantificate come in dispositivo.

Con reclamo depositato in data 23.03.2022, gli istanti di cui in epigrafe impugnano la sentenza resa in prime cure e ne chiedono la riforma sulla base delle seguenti censure: a) in primo luogo, è stata di nuovo eccepita la nullità della causa del licenziamento , richiamando la sentenza della Corte Suprema di Cassazione nr.29007/2020, lamentando sul punto una omessa pronuncia, atteso che gli odierni reclamanti solo in formale esecuzione della ordinanza del Tribunale di Napoli, in funzione di giudice del lavoro, la nr.1183/2017, erano stati riassegnati alla stessa attività, dalla quale era stati espulsi e che la momento della reintegrazione non esisteva più in quanto il servizio di help desk risultava esternalizzato; il comportamento del datore di lavoro era stato chiaramente in frode alla legge ai sensi dell’art.1344 c.c.; senza contare che il secondo licenziamento era fondato sulle medesime circostanze già utilizzate nel licenziamento collettivo ed oggetto del precedente giudizio conclusosi con la citata ordinanza del Tribunale di Napoli, in funzione di giudice del lavoro, con evidente violazione del principio del ne bis in idem. In via subordinata gli istanti deducono la manifesta insussistenza del motivo economico del licenziamento, attesa la loro piena fungibilità professionale rispetto al settore dei sistemi editoriali; difatti, a seguito della nuova formulazione  dell’art.2103 c.c. da parte dell’art.3 del D.lgs. nr.81/2015, l’obbligo di repechage risulta più oneroso per il datore di lavoro, il quale è onerato della prova della mancanza di posizioni lavorative della stessa categoria professionale e/o dello stesso livello di inquadramento, alla quale appartengono i ricorrenti, sull’intero territorio nazionale, senza contare che le e mail prodotte- e riprodotte nell’atto di reclamo- proverebbero la fungibilità delle mansioni disimpegnate dagli istanti sia quali sistemisti che come programmatori; tale evidenza si evincerebbe anche dalla espletata prova per testi, secondo la quale gli odierni reclamanti avevano supportato l’attività informatica dei giornalisti sotto ogni possibile profilo.

Gli istanti ribadiscono la violazione dell’obbligo di repechage e di conseguenza l’illegittimità dei licenziamenti ed hanno chiesto la reintegrazione nel posto di lavoro in base alla sentenza nr.59 dell’01.02.2021 della Corte Costituzionale, che aveva dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art.18 comma settimo della legge nr.300/1970 nella parte in cui prevede che il giudice, quando accerti la manifesta insussistenza del fatto posto a base del licenziamento per giustificato motivo oggettivo, può e non debba applicare la tutela reintegratoria attenuata con la reintegrazione nel posto di lavoro e con la condanna al risarcimento del danno pari ad una indennità commisurata a 12 mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto, detratto l’aliunde percetum e l’aliunde percipiendum. Con un ultimo motivo di impugnazione gli istanti censurano la sentenza di prime cure nella parte in cui ha liquidato il risarcimento del danno non parametrato alla effettiva anzianità di servizio degli istanti, già dipendenti de “Il Mattino” dal 1990 e dal 1991 e ceduti ai sensi dell’art.2112 c.c. alla reclamata compagine sociale solo nell’aprile 2016. Si è quindi concluso per la condanna dell’impresa al risarcimento del danno nella misura massima di legge con vittoria di spese di lite del doppio grado del giudizio con distrazione.

Si è costituisce in giudizio la SI s.r.l. e spiega reclamo incidentale; muove censura alla sentenza resa dal Tribunale di Napoli, in funzione di giudice del lavoro e ne chiede la riforma con il conseguente rigetto delle proposte domande, in quanto sarebbe stato incontrovertibilmente accertato che il servizio help desk, al quale erano stati addetti gli odierni reclamanti in via esclusiva, era stato soppresso sull’intero territorio nazionale; sarebbe stato accertato altresì senza ombra di dubbio alcuno che le mansioni degli istanti erano stati quelli di sistemisti e non già di gestori di sistema e che nelle sedi di Mestre ed Ancona vi erano solo questi ultimi profili professionali esistenti; che sarebbe stato adempiuto in pieno l’obbligo di repechage , in quanto il datore di lavoro ha l’obbligo legale di verificare l’esistenza di posizioni professionali corrispondenti al bagaglio professionale dei dipendenti licenziati e tale prova era stata ragionevolmente fornita in giudizio sia con i documenti prodotti che con la espletata prova per testi. La compagine sociale ha dedotto che il risarcimento del danno è stato liquidato in misura ingiusta, in quanto l’anzianità di servizio non può essere l’unico strumento sul quale parametrare e determinare il risarcimento del danno. Si è quindi concluso come in atti.

A scioglimento della riserva formulata al verbale di udienza, il Collegio osserva che dal punto di vista logico giuridico è preliminare l’esame congiunto del reclamo incidentale e del secondo motivo di impugnazione del reclamo principale. Quest’ultimo risulta fondato, mentre il reclamo incidentale risulta destituito di fondamento.

In conseguenza dell’accoglimento del secondo motivo di impugnazione del reclamo principale, risulta infondato anche il primo motivo del reclamo degli istanti.

Osserva il Collegio che la compagine sociale, anche odierna reclamante incidentale, ha errato nella concreta attuazione dell’obbligo di repechage.

In diritto è necessario osservare che la Suprema Corte di Cassazione ha ampliato l’ambito di applicazione dell’obbligo di repechage, anche alla luce dell’abrogazione del principio di equivalenza delle mansioni di cui all’art.2103 c.c., come modificato dal D.Lgs. nr.81/2015.Le modifiche apportate dal legislatore in ambito di jus variandi sembrano aver definitivamente superato il limite posto al datore di lavoro del rispetto della capacità professionale acquisita dal lavoratore. Il datore di lavoro oggi dispone di un potere ampio con riferimento ad una collocazione flessibile del prestatore di lavoro nell’ambito della propria organizzazione del lavoro in senso sia orizzontale che in senso verticale, intendendosi in questi termini la possibilità di adibizione del prestatore a mansioni inferiori. L’imprenditore, in caso di licenziamento per giustificato motivo oggettivo, con specifico riferimento all’obbligo di repechage non è più vincolato al rispetto delle stringenti disposizioni in materia di divieto di variazione delle mansioni, così come previste dalla precedente formulazione dell’art.2013 c.c. la nuova impostazione normativa consente, invece, l’adibizione del lavoratore a mansioni appartenenti ad un livello di inquadramento inferiore in ragione di una modifica degli assetti organizzativi aziendali che incidano sulla sua posizione (art. 2013 comma secondo c.c.). la norma in parola, poi, al successivo comma sesto, permette anche la stipula di patti di dequalificazione con il prestatore aventi la funzione di tutelare il posto di lavoro ( cfr. Cass. sez. lav. 26.05.2017 nr. 13379; Cass. sez. lav. 09.11.2016 nr. 22798; Cass. sez. lav. 05.01.2017 nr.160; Cass. sez. lav. 10.05.2016 nr. 9467).

In ragione delle modifiche legislative apportate all’art.2013 c.c. il repechage estende sicuramente il proprio raggio di azione obbligando il datore di lavoro, prima di procedere al licenziamento per giustificato motivo oggettivo, a ricercare posizioni lavorative alternative, non solo con riferimento a mansioni riconducibili alla categoria di appartenenza o, comunque, al livello posseduto dal prestatore al momento del recesso, ma anche a quelle di tipo inferiore (cfr. Cass. sez. lav. 19.11.2015 nr. 23698).

Sul punto concorrono due argomentazioni collegate eziologicamente tra loro: da una parte, l’obbligo di repechage da configurarsi quale elemento costitutivo della fattispecie del licenziamento per giustificato motivo oggettivo (cfr. Cass. sez. lav. 02.05.2018 nr.10435; Cass. sez. lav. 22.03.2016 nr.5592 e Cass. sez. lav. 13.06.2016 nr.121019; dall’altra, quello di correttezza e buona fede di cui agli artt.1175 e 1375 c.c., entrambe elementi che, proprio in virtù di tale connessione funzionale, impongono al datore di lavoro di vagliare ogni soluzione possibile tesa alla conservazione del posto di lavoro, compresa quella di assegnazione del dipendente anche a mansioni inferiori. In virtù di quanto esposto, l’obbligo di ricollocazione rappresenta l’ulteriore requisito di verifica della correttezza e della buona fede delle scelte imprenditoriali, che completa la fattispecie di licenziamento per giustificato motivo oggettivo di cui all’art.3 della legge nr.604/1966.

Più in particolare, l’onere della prova in tema di obbligo di ricollocazione incombe esclusivamente sul datore di lavoro. Si legge nella sentenza della Sezione Lavoro della Corte Suprema di Cassazione 10.05.2016 nr. 9467: << … può dirsi che l’impossibilità del repechage costituisca autonomo fatto estintivo rispetto all’esistenza di ragioni tecniche, organizzative e produttive tali da determinare la soppressione d’un dato posto di lavoro e, come tale, richieda un’apposita autonoma contestazione da parte del lavoratore: si tratta -invece- di due aspetti del medesimo fatto estintivo, fra loro inscindibili perché l’uno senza l’altro è inidoneo a rendere valido il licenziamento>>. Cfr. in tale senso anche Cass. sez. lav. 02.05.2018 nr.10435, nella quale si legge: << … posto che nella nozione di licenziamento per giustificato motivo oggettivo rientra… sia l’esigenza della soppressione del posto di lavoro sia l’impossibilità di ricollocare altrove il lavoratore, il riferimento legislativo alla “manifesta insussistenza del fatto posto a base del licenziamento “ va inteso con riferimento a tutti e due i presupposti di legittimità della fattispecie >>. L’imprenditore, in ragione di tali principi, ha l’onere di dimostrare di aver tentato ogni soluzione alternativa al recesso anche in ragione delle nuove disposizioni di cui al D.lgs. nr.81/2015, nell’eccezione sin qui evidenziata. In tale modo l’obbligo di ricollocazione risulta rafforzato dalle nuove disposizioni di cui all’art.2103 c.c. , vista la possibilità, oggi giuridicamente praticabile, di ricollocare il lavoratore in mansioni alternative o addirittura inferiori, essendo caduto il principio di equivalenza professionale , così come confermato dai recenti arresti della giurisprudenza di legittimità ( cfr. Cass. sez. lav. 09.11.2016 nr.22798 e Cass. sez. lav. 21.12.2016 nr. 26467).

Nel caso di specie, era quindi onere del datore di lavoro di depositare in atti tutto l’organigramma della compagine sociale a livello nazionale (difatti è acquisita agli atti del processo che la società ha altre sedi quanto meno ad Ancona e a Mestre); avrebbe dovuto indicare sia le posizioni professionali di cui al livello II del CCNL Commercio terziario , sia le posizioni professionali di cui al livello I dello stesso contratto collettivo. Ma tale onere e tali allegazioni non sono state assolte. Tali considerazioni ad avviso del Collegio già bastano a ritenere non assolto l’obbligo di repechage, con la conseguente illegittimità dei disposti recessi dai rapporti di lavoro.

In fatto si deve ancora porre in evidenza che i testi B e S , non sempre presenti sul posto di lavoro per i differenti compiti assegnati all’interno della compagine sociale, hanno affermato che le mansioni degli istanti si erano limitate ad un pronto intervento sulla posta elettronica del giornale sia interna che esterna, coadiuvando gli utenti comprensivi dei giornalisti in caso di eventuali problemi , di controllare e regolare, anche con l’ausilio del responsabile della tipografia, le modalità di invio delle singole pagine, il tutto agendo mediante i log del sistema informatizzato; di fatto essi fermavano alcune pagine e ne facevano passare altre in modo che arrivassero nel giusto ordine al centro di stampa di C ove era la rotativa. Di fatto però (cfr. anche le deposizioni dei testi B e R) gli odierni istanti hanno effettuato altre mansioni come il controllo del regolare flusso di lavoro con 10-12 macchine in azione alla sera in modo da controllare tutto ciò che proveniva dal centro stampa, dalla posta interna ed esterna, dai programmi di trasformazione di files da un formato all’altro. Dalle e mail prodotte (si tratta di quelle datate 14.04.2012, 05.02.2015, 01.10.2014, 09.02.2010, 18.12.2010, 25.04.2011, 28.03.2011, 22.03.2011), gli odierni reclamanti sono stati chiamati a configurare i programmi ed a creare due utenze, ad installare e configurare stampanti, a configurare e ad ottimizzare apparecchiature di rete quali switch, rete telefonica fissa e mobile, a configurare ed a ripristinare router, ad effettuare interventi sul server, nonché sulla funzionalità della posta elettronica, nonché sulle sistemistiche applicative sui canali di ingresso: agenzie, foto, infografici, pubblicità, rubriche etc. In questa sede, osserva il Collegio, non è in questione il riconoscimento di mansioni superiori, quali quelle espletate dai sistemisti: un tale giudizio imporrebbe la prova della prevalenza delle mansioni superiori; in questa sede, invece, occorre porre in evidenza che gli istanti hanno effettuato mansioni del più ampio genere, anche quelle proprie dei sistemisti. E tale situazione di fatto imponeva al datore di lavoro di prendere posizione più rigorosa e determinante per assolvere l’onere di provare la legittimità degli intimati recessi.

Ne consegue che deve essere accolto il secondo motivo di reclamo dei prestatori di lavoro, con il rigetto del reclamo incidentale, e, in parziale riforma della impugnata sentenza, deve essere ordinata la reintegrazione nel posto di lavoro ai sensi dell’art.18 comma settimo della legge nr.300/1970, come modificato dalla legge nr.92/2012, nonché dalla sentenza della Corte Costituzionale nr.125 del 19 maggio 2022, che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale del citato art.18 comma settimo nella parte in cui aveva subordinato la reintegrazione nel posto di lavoro alla “ manifesta” insussistenza del fatto, e non già alla insussistenza dello stesso (cfr. Cass. sez. lav. ordinanza 11.11.2022 nr. 33341).

L’accoglimento del secondo motivo di impugnazione degli istanti esime dall’esaminare anche il primo motivo di reclamo. Si potrebbe configurare la ritorsività e la nullità dei disposti licenziamenti perché in frode alla legge nel solo caso in cui si dovesse ritenere che il datore di lavoro non abbia violato l’obbligo di ricollocazione.

Il risarcimento del danno è liquidato nella misura di 12 mensilità come per legge avuto riguardo a tutti i criteri di determinazione dello stesso e non già con il solo riguardo all’anzianità degli istanti, che risulta comunque essere notevole, e cioè decorrente dal 1990 e dal 1991. A tale fine si deve tenere conto della dimensione nazionale dell’attività di impresa e della notevole numero di occupati: in atti non è stata contestata la seguente circostanza e cioè che l’impresa aveva al momento dell’intimazione dei recessi circa un centinaio di dipendenti.

Le spese di lite del doppio grado del giudizio sono compensate nella misura della metà, in quanto nelle more del giudizio è intervenuta la giurisprudenza costituzionale sulla nozione di fatto insussistente, mentre la seconda metà delle spese stesse segue la soccombenza ed è liquidata come in dispositivo.

P.Q.M.

la Corte così decide: a) rigetta il reclamo incidentale; b) in accoglimento del secondo motivo del reclamo principale ordina alla società reclamata Servi Italia 15 s.r.l. la reintegrazione nel posto di lavoro di X , di Y e di Z; c) condanna la reclamata società SI s.r.l. al risarcimento del danno, parametrato ad un’indennità pari a 12 mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto da ultima goduta, con gli accessori di legge di cui all’art.429 c.p.c. dalle singole maturazioni al saldo; d) compensa per metà le spese di lite del doppio grado del giudizio e condanna la Servizi Italia 15 s.r.l. alla refusione della restante metà delle spese stesse, pari ad euro 6.550,00 per il primo grado ed euro 7850,00 per il secondo grado, più rimborso forfettario al 15%, Iva e cpa, con distrazione.

Così deciso in Napoli addì 28.03.2023

Il repêchage come elemento costitutivo del licenziamento per giustificato motivo oggettivo
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