Il datore di lavoro deve dimostrare le esigenze economico-organizzative a base del recesso.

Nota a Cass. (ord.) 30 ottobre 2023, n. 30093

Fabrizio Girolami

In caso di rifiuto della proposta datoriale di modifica della collocazione dell’orario part-time il dipendente può essere legittimamente licenziato solo se il recesso non è stato intimato a causa del diniego opposto, ma in ragione dell’impossibilità di utilizzo della prestazione (con le precedenti modalità orarie) per effettive “ragioni economiche” dimostrate dal datore di lavoro. È necessaria, dunque, non solo la prova dell’effettività delle ragioni addotte per il cambiamento dell’orario ma anche quella dell’impossibilità di un utilizzo altrimenti della prestazione (con modalità orarie differenti), quale componente/elemento costitutivo del giustificato motivo oggettivo.

Lo ha affermato la Corte di Cassazione con ordinanza 30 ottobre 2023, n. 30093, in relazione a una fattispecie di una lavoratrice part-time che aveva impugnato il licenziamento intimatole dalla società datrice di lavoro per “giustificato motivo oggettivo” a seguito del suo rifiuto di accettare la proposta datoriale di modifica della collocazione dell’orario di lavoro.

All’esito del giudizio di merito, la Corte d’Appello di Cagliari aveva ritenuto legittimo il licenziamento, confermando la sentenza di primo grado, considerando che la fattispecie in esame attiene al licenziamento per riorganizzazione aziendale rientrante nel “giustificato motivo oggettivo”, conformemente alla previsione legislativa dell’art. 8, co. 1, D.Lgs. n. 81/2015 che, ancorché escluda che il rifiuto di trasformazione del rapporto da full-time a part-time (o viceversa) possa costituire di per sé giustificato motivo di licenziamento, non preclude la facoltà di recesso del datore per motivo oggettivo.

La Cassazione ha invece accolto il ricorso della lavoratrice avverso la sentenza d’appello, affermando – in aderenza al proprio consolidato orientamento (cfr., tra le altre, Cass. 9.05.2023, n. 12244, in q. sito, con nota di F. DURVAL; Cass. 27.10.2015, n. 21875) – che il rifiuto opposto alla proposta unilaterale di trasformazione del rapporto da full-time a part-time e viceversa (o, come nel caso, di specie di variazione della collocazione dell’orario di lavoro part-time) non costituisce, di per sé, valida motivazione di licenziamento della lavoratrice, essendo il datore di lavoro tenuto a dimostrare la sussistenza delle motivazioni economiche e/o organizzative poste a fondamento dell’atto di recesso tali da non consentire il mantenimento della prestazione a tempo pieno (o, come nel caso di specie, il mantenimento della precedente collocazione dell’orario part-time).

Nel caso di specie, la Cassazione – non avendo la Corte territoriale verificato l’assolvimento da parte del datore di lavoro di tale onere probatorio (con particolare riguardo alla sussistenza di esigenze produttive contrarie al mantenimento della precedente collocazione dell’orario part-time) – ha cassato la sentenza impugnata con rinvio alla Corte d’Appello in diversa composizione, per la decisione della controversia in ottemperanza al principio di diritto enunciato in epigrafe.

Sentenza

CORTE DI CASSAZIONE – ORDINANZA 30 OTTOBRE 2023, N. 30093

Svolgimento del processo

La Corte d’appello di Cagliari, con la sentenza in atti, ha rigettato l’appello proposto da (OMISSIS) avverso la sentenza del tribunale che aveva respinto la domanda di impugnazione del licenziamento intimatole il 31 maggio 2011 da (OMISSIS) spa per giustificato motivo oggettivo a seguito del rifiuto della ricorrente di accettare la modifica della collocazione dell’orario di lavoro part-time propostole dalla datrice di lavoro.

Contro la sentenza ha proposto ricorso per Cassazione (OMISSIS) con tre motivi ai quali ha resistito con controricorso (OMISSIS) spa (già (OMISSIS) spa).

La parte controricorrente ha depositato memoria ex articolo 380bis.1 c.p.c., comma 1. Il collegio ha riservato la motivazione, ai sensi dell’articolo 380bis1 c.p.c., comma 2, u.p..

Motivi della decisione

1.- Con il primo motivo di ricorso la ricorrente ha dedotto ex articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3 la violazione e/o falsa applicazione dell’articolo 3 del CCNL per i dipendenti del Terziario: Commercio, Distribuzione e Servizi; ed ex articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5 l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti relativamente all’esistenza di un ulteriore diverso accordo sulla collocazione dell’orario di lavoro part time già da lei raggiunto con un quadro aziendale; in particolare la ricorrente denuncia la violazione della normativa collettiva in quanto, in relazione al nuovo accordo già raggiunto in aprile tra le parti per l’orario di lavoro part time, la Corte ha escluso, in contrasto con il CCNL, che un quadro avesse il potere di firmare contratti e di impegnare il datore di lavoro con riferimento alla modifica contrattuale dell’orario di lavoro dei lavoratori part timers sottordinati.

2.- Con il secondo motivo, il ricorso prospetta ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3 la violazione e/o falsa applicazione della Legge di stabilità per l’anno 2012, articolo 22, comma 4 la violazione e omessa applicazione del Decreto Legislativo n. 61 del 2000, articolo 3; la violazione ed omessa applicazione del contratto collettivo nazionale di lavoro applicabile ai dipendenti del settore terziario: commercio, distribuzione e servizi. Si rileva in proposito che la Corte di appello ha sostenuto che non sussisteva la violazione del Decreto Legislativo n. 61 del 2000, articolo 3, comma 9 – ove si prevede che l’eventuale rifiuto del lavoratore allo svolgimento del rapporto di lavoro a tempo parziale non integra giustificato motivo di licenziamento – anzitutto perché la questione non ineriva ad una clausola flessibile, in quanto all’interno della proposta di modifica dell’orario contrattuale non era prevista alcuna flessibilità limitandosi la proposta a sostituire un’articolazione oraria rigida con una diversa altrettanto rigida. Ed in secondo luogo, perché secondo la Corte di appello il divieto di licenziamento si riferirebbe soltanto al licenziamento per giustificato motivo soggettivo, mentre nel caso di specie si discuteva di licenziamento per riorganizzazione aziendale che rientrava nel giustificato motivo oggettivo.

3.- Con il terzo motivo di ricorso ex articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3 si deduce violazione e/o falsa applicazione della L. n. 604 del 1966, articoli 3 e 5; falsa applicazione dell’articolo 2103 c.c. ed ex articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5, omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti. Con una prima censura viene sottoposta a critica anzitutto l’affermazione, contrastante con l’atto di recesso, secondo cui la ragione sottesa al licenziamento operato dalla (OMISSIS) spa nei confronti della ricorrente si sostanzierebbe in una riorganizzazione aziendale tale da non rendere più utilizzabile la prestazione della odierna ricorrente. Secondo una diversa censura si sostiene che la riorganizzazione non fosse effettiva o di rilevanza tale da giustificare il recesso dal rapporto di lavoro per non avere la lavoratrice accettato la proposta di ricollocazione temporale della prestazione lavorativa, sostanzialmente sull’unico elemento di disaccordo rappresentato dalla chiusura serale del giorno di sabato limitatamente al periodo compreso tra il mese di giugno e il mese di agosto 2011. Con una terza censura la ricorrente impugna la motivazione della Corte di merito in punto di onere di repechage laddove la Corte ha sostenuto che il datore di lavoro avesse assolto al proprio onere, nonostante fosse emerso chiaramente che l’unico limite rappresentato dalla lavoratrice in sede di proposta di modifica contrattuale si sostanziava nella impossibilità’ per la stessa di effettuare una chiusura serale nella giornata di sabato per un periodo strettamente limitato al periodo giugno-agosto 2011.

4.- I motivi di ricorso, da trattare unitariamente per la connessione delle censure sollevate, sono fondati nei limiti delle seguenti considerazioni. L’atto di licenziamento per g.m.o. intimato alla ricorrente fa riferimento ad esigenze organizzative ed alla necessità di variare l’orario di lavoro e si sostiene che la distribuzione dell’orario precedente non fosse più compatibile con le nuove esigenze aziendali e che la prestazione lavorativa con il precedente orario risultava non più utilmente impiegabile.

5. Non può essere pertanto revocata in dubbio in questa sede ne’ la causale organizzativa addotta nel licenziamento intimato alla ricorrente, ne’ l’effettività della ragione adotta, nei limiti in cui la stessa Corte di appello, disattendendo la contraria allegazione della ricorrente sul punto, ha del tutto escluso la fondatezza della doglianza circa la mancanza di effettività della riorganizzazione, atteso che tutte le lavoratrici escusse come testi avevano concordemente affermato che i nuovi orari erano stati applicati e che loro li avevano rispettati anche con riferimento alle chiusure del sabato.

6.- Nemmeno può essere oggetto di sindacato nel merito, nei termini dedotti in ricorso, che l’orario di lavoro concordato per il mese di aprile con il quadro aziendale, prima del licenziamento di maggio, non identificasse il nuovo orario di lavoro part time per il futuro, avendo la Corte di appello accertato appunto che si trattava di una soluzione interlocutoria, limitata al periodo in oggetto (non avendo la società voluto fin lì praticare ” forzature”).

7.- Fatte queste premesse, la sentenza impugnata si rivela nondimeno in contrasto con le norme di legge e collettive indicate in ricorso sotto plurimi profili, di seguito indicati.

8.- Anzitutto nella parte in cui sostiene che la variazione in blocco dell’orario di lavoro – che non integri l’introduzione di una clausola elastica o flessibile – sia del tutto libera o esulerebbe dalla protezione legale (perché “all’interno della proposta di modifica dell’orario contrattuale non è prevista alcuna flessibilità, ma si chiede di sostituire un’articolazione oraria, rigida, con una diversa, altrettanto rigida”). Al contrario in materia di lavoro part-time, dalla complessiva regolamentazione stabilita dal Decreto Legislativo n. 61 del 2000 si evince una comune e generale ratio legis nel senso che qualunque mutamento dell’orario di lavoro già concordato formalmente tra le parti – sia il passaggio da part-time a full time o viceversa, sia una variazione della fascia oraria del part-time o l’introduzione di una clausola elastica o flessibile o la richiesta di lavoro supplementare – presuppone l’accordo tra le parti e, dunque, il consenso del lavoratore. Tanto è previsto esplicitamente dal Decreto Legislativo n. 61 del 2000, articolo 3, commi 3, 7, 9 e 11 in relazione alle clausole elastiche ed al lavoro supplementare (vedi in particolare comma 11: ” Il rifiuto da parte del lavoratore di stipulare il patto di cui al comma 9 e l’esercizio da parte dello stesso del diritto di ripensamento di cui al comma 10 non possono integrare ” in nessun caso” gli estremi del giustificato motivo di licenziamento). Inoltre, al Decreto Legislativo n. 61 del 2000, articolo 5 prevede parimenti che il rifiuto del lavoratore di trasformare il proprio rapporto di lavoro a tempo pieno in parziale, o viceversa “non costituisce giustificato motivo di licenziamento”. Il CCNL citato in ricorso prevede all’articolo 13 che ” in applicazione di quanto previsto dal Decreto Legislativo n. 61 del 2000, articolo 2, comma 2 e 3, articoli 7, 8 e 9 come modificato dal Decreto Legislativo n. 276 del 2003, articolo 46 le parti interessate, con specifico patto scritto, potranno prevedere l’inserzione nel contratto a tempo parziale, anche nelle ipotesi di contratto di lavoro a termine, di: – clausole flessibili, relative alla collocazione temporale della prestazione lavorativa, anche determinando il passaggio da un part-time orizzontale a verticale o viceversa ovvero il sistema misto; – clausole elastiche, relative alla variazione in aumento della durata della prestazione lavorativa, nei rapporti di lavoro a tempo parziale di tipo verticale o misto. La disponibilità allo svolgimento del rapporto di lavoro a tempo parziale con clausole flessibili e/o elastiche richiede il consenso del lavoratore, formalizzato attraverso uno specifico patto scritto, anche contestuale al contratto di lavoro. L’eventuale rifiuto dello stesso non integra gli estremi del giustificato motivo di licenziamento nemmeno per recidiva”. Sulla scorta di tale disciplina deve dunque affermarsi che analogo divieto valga anche, a fortiori, per la proposta di diversa distribuzione totale dell’orario di lavoro. Dal momento che sarebbe irragionevole ipotizzare il contrario, ovvero che sia protetto il rifiuto alla stipula di una clausola flessibile, elastica o alla richiesta di lavoro supplementare e non lo sia invece quello che concerne la variazione totale dell’orario di lavoro part time. Come prevede peraltro oggi in continuità con questa tesi la disciplina dettata dal Decreto Legislativo n. 81 del 2015, articolo 6, comma 8 secondo il quale “il rifiuto del lavoratore di concordare una variazione dell’orario di lavoro non costituisce giustificato motivo di licenziamento”.

9.- Sotto altro aspetto la sentenza impugnata risulta in contrasto con le norme in rubrica nella parte in cui ha sostenuto che il divieto di licenziamento del lavoratore o lavoratrice part time – che rifiuti la variazione dell’orario di lavoro – sia limitato al solo licenziamento disciplinare; mentre, al contrario, deve ritenersi escluso, altresì, ed anzi in primo luogo, il licenziamento per giustificato motivo oggettivo, dal momento che quelle prospettate dal datore di lavoro, alla base della propria proposta di variazione contrattuale rifiutata dal lavoratore, configurano esigenze di carattere organizzativo suscettibili di dar luogo ad un g.m.o. di recesso.

10.- Ora, pur rientrando il licenziamento per g.m.o. nell’oggetto del divieto previsto dalla legge, ciò non significa che il lavoratore part time non possa essere mai licenziato per la medesima causale ai sensi della L. n. 604 del 1966, articoli 3 e 5.

11.- Il difficile equilibrio tra il divieto di licenziamento del lavoratore che rifiuta il mutamento della fascia oraria del part-time (o una altra variazione protetta dalla legge), e l’eventuale insorgenza del giustificato motivo provocato da tale rifiuto, che potrebbe consentire un licenziamento pe r ragioni oggettive, deve essere invece garantito attuando il contemperamento dei rispettivi interessi delle parti che si riflettono nel regime pattizio del rapporto alla luce della particolare disciplina di legge evocata.

12.- In tale prospettiva deve essere anzitutto chiarito che le esigenze organizzative che sottostanno alla richiesta di variazione dell’orario non possono rilevare, di per se’, come ragione oggettiva – esclusiva ed autosufficiente – di licenziamento, perché questo significherebbe cancellare di fatto la protezione legale che consente al lavoratore di opporre un legittimo rifiuto alla proposta datoriale di cambiamento dell’orario di lavoro, rifiuto che non può trasformarsi – con aperta contraddizione della normativa – in automatico presupposto del suo licenziamento. D’altra parte, nemmeno può essere precluso al datore di lavoro l’esercizio del recesso quando il rifiuto alla proposta di trasformazione entri in contrasto con le ragioni di carattere organizzativo che, ai sensi della L. n. 604 del 1966, articolo 3 possono integrare un giustificato motivo oggettivo di licenziamento; in questo caso, tuttavia, il datore di lavoro ha l’onere di dimostrare non solo la sussistenza delle esigenze economico-organizzative, in base alle quali la prestazione oraria precedente non può essere più mantenuta, nonché il nesso causale tra le predette esigenze e il licenziamento (Cass., sentenza n. 21875/2015, Cass. sentenza n. 23620/2015; Cass., sentenza n. 9310/2001; Cass., sentenza n. 3030/1999); dovendo egli altresì dimostrare che non esistano ulteriori soluzioni occupazionali (o altre alternative orarie) rispetto a quelle prospettate al lavoratore e poste alla base del licenziamento. Occorre, cioè in sintonia con la stessa nozione generale di g.m.o., che sussista altresì l’impossibilità di un ripescaggio aliunde che deve essere dimostrato in giudizio dal datore di lavoro, la cui condotta – al pari di quella del lavoratore – deve comunque essere improntata e, dunque, valutata alla luce delle clausole generali di correttezza e buona fede, le quali possono costituire utile parametro per un controllo sulla discrezionalità gestionale del datore di lavoro. In particolare, in un’area, quale quella del part time, sottoposta ad una rigorosa regolamentazione normativa, la scelta datoriale deve tener conto delle particolari esigenze sociali che sono a fondamento della stessa. Una prova di questa natura è idonea a realizzare, ad avviso del Collegio, l’equo contemperamento degli interessi delle parti che risultano regolati pattiziamente nella disciplina oraria del part time.

13.- L’esigenza di una rimodulazione del g.m.o. nel part time, è stata già affermata da questa Corte, a fronte di proposte di rifiuto del passaggio da part time a full time o viceversa, con la recente ordinanza n. 12244/2023 nella quale è stato ribadito che in caso di rifiuto della trasformazione del rapporto da full time a part time il dipendente può essere legittimamente licenziato solo se il recesso non è stato intimato a causa del diniego opposto, ma in ragione dell’impossibilità di utilizzo della prestazione a tempo pieno per effettive ragioni economiche dimostrate dal datore di lavoro.

14.- è necessaria dunque non solo la prova dell’effettività’ delle ragioni addotte per il cambiamento dell’orario (Cass. n. 15400 del 20/07/2020) ma anche quella della impossibilità di un utilizzo altrimenti della prestazione, con modalità orarie differenti, quale componente/elemento costitutivo del gmo. Quando invece il licenziamento del lavoratore part time venga intimato per una ragione tecnica organizzativa diversa da quella della variazione dell’orario di lavoro vale ovviamente la nozione generale del g.m.o. per come elaborata dalla consolidata giurisprudenza di questa Corte (Cass. 20 ottobre 2017, n. 24882; Cass. 2 maggio 2018, n. 10435; e da ultimo Cass. 752 del 12/01/2023).

15.- In tale direzione spinge anche l’interpretazione conforme della normativa comunitaria e della giurisprudenza costituzionale, essendo stato pure messo in luce (da Cass. sen t. n. 21875 del 27/10/2015) da una parte che – ai sensi della Direttiva 97/81/ CE del 15 dicembre 1997, che recepisce l’Accordo quadro sul lavoro a tempo parziale concluso dall’UNICE, dal CEEP e dalla CES – “il rifiuto di un lavoratore di essere trasferito da un lavoro a tempo pieno ad uno a tempo parziale, o viceversa, non dovrebbe, in quanto tale, costituire motivo valido per il licenziamento, senza pregiudizio per la possibilità di procedere, conformemente alle leggi, ai contratti collettivi e alle prassi nazionali, a licenziamenti per altre ragioni, come quelle che possono risultare da necessità di funzionamento dello stabilimento considerato”; e dall’altra parte che, come chiarito della Corte Costituzionale nella sent. n. 224 del 2013 (scrutinando la compatibilità costituzionale della possibilità di “revisione” del part-time riconosciuta alle pubbliche amministrazioni dalla L. n. 183 del 2010, articolo 16), tale Direttiva, accanto alla protezione del lavoratore dalla trasformazione unilaterale del proprio rapporto ad iniziativa del datore di lavoro, prende pure in considerazione le esigenze organizzative di quest’ultimo, purché l’iniziativa datoriale sia sorretta da serie ragioni organizzative e gestionali e sia attuata nel rispetto dei principi di correttezza e buona fede. “In mancanza di tali presupposti, il dipendente può legittimamente rifiutare di passare al tempo pieno e, per ciò solo, non può mai essere licenziato”.

16.- Venendo ora al caso di specie, non risulta che il licenziamento intimato alla ricorrente risponda ai principi fin qui evocati, posto che nulla si dice nella sentenza impugnata in ordine al fatto che, oltre a non potersi mantenere lo schema dell’orario precedente, non esistesse un altro orario diverso che potesse essere offerto come alternativa al licenziamento. Va piuttosto messo in evidenza come nella causa risulti, al contrario, l’esistenza di flessibilità e di alternative occupazionali, atteso che, dopo la proposta di modifica non accettata e posta alla base del licenziamento, le parti avevano tra loro concordato, nel mese precedente il licenziamento, un orario di lavoro diverso da quello originario, con mantenimento del rapporto di lavoro. Né può valere in contrario quanto osservato in proposito dalla Corte di appello allorché ha notato che la società datrice nel mese di aprile non avesse voluto mettere in atto “forzature”, dovendosi valutare la condotta del datore di lavoro nella più ampia prospettiva della ricerca di una diversa ricollocazione dell’orario in alternativa al licenziamento, nell’ottica dei principi di correttezza e buona fede richiamati anche dalla Corte Costituzionale nella sentenza cit.

17. In forza delle premesse il ricorso va accolto, nei limiti di quanto osservato, e la decisione deve essere cassata con rinvio al giudice di merito, indicato in dispositivo, per la prosecuzione del giudizio. Nella decisione della lite il giudice si atterrà ai principi di diritto sopra affermati, in particolare ai nn. 11 e 12.

18. Il giudice del rinvio procederà altresì alla regolazione delle spese del giudizio di cassazione. Non sussistono i presupposti processuali del raddoppio del contributo unificato (conformemente alle indicazioni di Cass. s.u. 20 settembre 2019, n. 23535). P.Q.M. La Corte accoglie il ricorso nei limiti di cui in motivazione, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte d’appello di Cagliari sez. distaccata di Sassari anche per la liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.

Rifiuto di mutamento della fascia oraria del part-time e licenziamento
%d blogger hanno fatto clic su Mi Piace per questo: