È legittimo e proporzionato il provvedimento espulsivo irrogato nei confronti del lavoratore che minacci ed insulti il datore di lavoro alla presenza di clienti e colleghi

Nota a Cass. 15 settembre 2017, n. 21506

Valerio Di Bello

Il datore di lavoro nell’irrogare un licenziamento per giusta causa deve precedentemente valutare se il fatto per il quale intende procedere è proporzionato rispetto al provvedimento espulsivo. In particolare, la Corte di Cassazione, con la sentenza n. 21506 del 15 settembre 2017, ha ribadito il principio di diritto, secondo cui: “il giudizio di proporzionalità tra fatto addebitato al lavoratore e licenziamento disciplinare non va effettuato in astratto, bensì con specifico riferimento a tutte le circostanze del caso concreto, all’entità della mancanza (considerata non solo da un punto di vista oggettivo, ma anche nella sua portata soggettiva e in relazione al contesto in cui essa è stata posta in essere), ai moventi, all’intensità dell’elemento intenzionale e al grado di quello colposo; tale giudizio, risolvendosi in un accertamento di fatto, è incensurabile in sede di legittimità se sorretto da adeguata e logica motivazione“.
Il caso, dal quale trae origine il citato principio, riguarda un lavoratore licenziato per aver rivolto ingiurie e minacce di aggressione fisica al datore di lavoro in presenza di clienti e di altri colleghi, provocando – quindi – un inevitabile danno all’immagine della Società. Il comportamento del lavoratore era dovuto all’aver ricevuto il pagamento della retribuzione mensile di luglio mediante assegno bancario consegnato il venerdì pomeriggio (con conseguente impossibilità di incasso immediato).
La Corte di Cassazione ha, quindi, condiviso il ragionamento già operato dalla Corte d’appello, la quale ha ritenuto sussistente la giusta causa di licenziamento e la proporzionalità tra fatto e sanzione espulsiva sulla base di un’ampia e articolata ricostruzione della fattispecie concreta, prendendo in esame e valutando sia gli elementi oggettivi dell’episodio (e così entrambe le condotte, del lavoratore e del datore di lavoro, nel loro dinamico e reciproco svolgersi e nel loro rispettivo profilo di volontarietà e intenzionalità); sia l’antefatto dell’episodio stesso (e cioè le modalità e circostanze del pagamento della retribuzione del mese di luglio, al ricorrente e agli altri dipendenti); sia anche, con riferimento al giudizio ex art. 2106 cod. civ., il fattore potenzialmente “mitigante” di una lunga anzianità di servizio: ricostruzione da cui la Corte di merito ha tratto la motivata conclusione di una irrimediabile lesione del vincolo fiduciario che deve permanere tra datore di lavoro e lavoratore (per essere risultata, alla stregua delle circostanze del caso concreto, “intollerabile la reazione scomposta” del lavoratore, “le ingiurie, le minacce di scontro fisico rivolte al titolare in presenza di colleghi e clienti, con grave danno all’immagine della datrice di lavoro” nel contesto in cui opera: e di un particolare “disvalore ambientale” riconoscibile nella condotta addebitata, in quanto “idonea ad assurgere” per i dipendenti più giovani “a modello diseducativo e disincentivante dall’adempimento degli obblighi di lavoro e di reciproco rispetto”).

Minacce e ingiurie: licenziamento per giusta causa
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