Solo un comportamento abnorme del lavoratore che sia eccentrico, imprevedibile ed ingovernabile rispetto alle mansioni a lui specificamente assegnate nell’ambito del ciclo produttivo, fa venir meno la responsabilità del datore di lavoro
Nota a Cass. 23 novembre 2017, n. 53285
Francesca Albiniano
L’obbligo di garantire la salute dei lavoratori nei luoghi di lavoro impone al datore di lavoro di adottare una serie di misure in materia di individuazione, prevenzione e valutazione dei rischi, nonché di informazione e formazione dei lavoratori.
Il principio è stato ribadito dalla Corte di Cassazione (23 novembre 2017, n. 53285), che ha ripercorso taluni insegnamenti fondamentali in relazione al caso di un lavoratore infortunatosi nel corso dell’espletamento delle sue mansioni di assemblatore di un sollevatore mentre era intento allo smontaggio di un cilindro senza averne assicurato la stabilità mediante l’inserimento di ostacoli di sicurezza.
In particolare, era stato contestato, al preposto, di non avere controllato che l’uso del macchinario fosse riservato a lavoratori dotati di informazione, formazione e addestramento adeguati e, al datore di lavoro, di non avere provveduto: a) a predisporre un documento di valutazione dei rischi che recasse l’individuazione della procedura per attuare le misure di sicurezza in fase di smontaggio del sollevatore; b) ad adottare adeguate misure tecniche e organizzative e a procedere alla formazione e informazione del lavoratore in ordine ai rischi connessi alle operazioni di smontaggio del sollevatore. Ciò, malgrado in azienda vi fosse un manuale operativo che illustrava la procedura da seguire. La Corte territoriale, infatti, aveva rilevato che “il manuale esistente in azienda indicava sì la metodologia corretta per effettuare tali interventi, ma non specificava quali condotte dovevano essere evitate e i rischi che si correvano ponendole in essere, cosicché non poteva dirsi adeguatamente adempiuto l’obbligo di formazione e informazione del lavoratore, il quale, certamente esperto del “bene operare”, anche per merito datoriale, non lo era del “male operare”, avendo affermato che, al momento dei fatti, egli non sapeva che una volta abbassate le losanghe del macchinario, queste potessero, ove non trattenute da ostacoli di sicurezza, ulteriormente abbassarsi a causa del peso del cilindro”.
Riguardo alla fattispecie esaminata, i giudici di legittimità hanno riproposto talune importanti precisazioni.
Valutazione dei rischi. “Il datore di lavoro ha l’obbligo di analizzare e individuare con il massimo grado di specificità, secondo la propria esperienza e la migliore evoluzione della scienza tecnica, tutti i fattori di pericolo concretamente presenti all’interno dell’azienda, avuto riguardo alla casistica concretamente verificabile in relazione alla singola lavorazione o all’ambiente di lavoro, e, all’esito, deve redigere e sottoporre periodicamente ad aggiornamento il documento di valutazione dei rischi previsto dall’art. 28 del D.Lgs. n. 81 del 2008, all’interno del quale è tenuto a indicare le misure precauzionali e i dispositivi di protezione adottati per tutelare la salute e la sicurezza dei lavoratori” (v. Cass. n. 20129/2016).
Norme tecniche ed ulteriori accortezze. L’obbligo di redigere il documento di valutazione dei rischi non si limita “al solo rispetto delle norme tecniche, ma richiede anche l’adozione di ogni ulteriore accortezza necessaria ad evitare i rischi di nocumento per i lavoratori, purché ciò sia concretamente specificato in regole che descrivono con precisione il comportamento da tenere per evitare il verificarsi dell’evento” (v. Cass. n. 5273/2016). In tale ambito, rientra l’obbligo informativo e formativo del datore di lavoro.
Informazione e formazione. L’adempimento degli obblighi di informazione e formazione dei dipendenti, gravante sul datore di lavoro, non è infatti escluso “né è surrogabile dal personale bagaglio di conoscenza del lavoratore, formatosi per effetto di una lunga esperienza operativa, o per il travaso di conoscenza che comunemente si realizza nella collaborazione tra lavoratori, anche posti in relazione gerarchica tra di loro (v. Cass. n. 22147/2016), poiché l’apprendimento insorgente da fatto del lavoratore medesimo e la socializzazione delle esperienze e della prassi di lavoro non si identificano e tanto meno valgono a surrogare le attività di informazione e di formazione prevista dalla legge” (v. Cass. n. 21242/2014).
Preposto. Inoltre, qualora dal documento di valutazione dei rischi e nella conseguente attività formativa e informativa del lavoratore in tema di sicurezza emerga la mancata inclusione di precisi riferimenti al rischio specifico, i semplici richiami verbali del preposto non assorbono “il raggio degli adempimenti ragionevolmente esigibili” in capo al datore di lavoro e dunque sono insufficienti e denotano l’assenza di un efficace insegnamento datoriale.
Comportamento abnorme del lavoratore. Con riguardo alla condotta poco accorta tenuta dal prestatore ed ai suoi riflessi sulla sequenza causale innescata dalla violazione degli obblighi cautelari incombenti, per far venire meno “la responsabilità del datore di lavoro, occorre un vero e proprio contegno abnorme, configurabile come un fatto assolutamente eccezionale e del tutto al di fuori della normale prevedibilità, quale non può considerarsi la condotta che si discosti fisiologicamente dal virtuale ideale” (v. Cass. n. 22249/2014). In particolare, relativamente al concetto di “atto abnorme”, … “tale non può considerarsi il compimento da parte del lavoratore di un’operazione che, pure inutile e imprudente, non sia però eccentrica rispetto alle mansioni a lui specificamente assegnate nell’ambito del ciclo produttivo” (v. Cass. n. 7955/2013).
“L’abnormità del comportamento del lavoratore, dunque, può apprezzarsi solo in presenza della imprevedibilità della sua condotta e, quindi, della sua ingovernabilità da parte di chi riveste una posizione di garanzia. …. tale imprevedibilità non può mai essere ravvisata in una condotta che, per quanto imperita, imprudente o negligente, rientri comunque nelle mansioni assegnate, poiché la prevedibilità di uno scostamento del lavoratore dagli standards di piena prudenza, diligenza e perizia costituisce evenienza immanente nella stessa organizzazione del lavoro. Il che, lungi dall’avallare forme di automatismo che svuotano di reale incidenza la categoria del “comportamento abnorme”, serve piuttosto ad evidenziare la necessità che siano portate alla luce circostanze peculiari – interne o esterne al processo di lavoro – che connotano la condotta dell’infortunato in modo che essa si collochi al di fuori dell’area di rischio definita dalla lavorazione in corso (cfr. in motivazione Sez. 4 n. 7955/2013 richiamata). Tale comportamento è “interruttivo” non perché “eccezionale” ma perché eccentrico rispetto al rischio lavorativo che il garante è chiamato a governare” (v. Cass. n. 15124/2016 e n. 49821/2012).
Responsabilità amministrativa dell’ente. Laddove, invece, il contegno “imprudente” risulti comunque “compiuto nello svolgimento dei compiti assegnatigli, non estraneo al processo produttivo e non imprevedibile…, costituendo tale modalità di lavoro addirittura una prassi aziendale” è configurabile “una responsabilità amministrativa dell’ente alla inidoneità del documento di valutazione dei rischi predisposto e alla inadeguatezza dell’attività di formazione e informazione del lavoratore, entrambi causa dell’infortunio, laddove, con riferimento al vantaggio/interesse dell’ente, hanno evidenziato l’incidenza della scorretta prassi aziendale accertata sul rapporto spesa-guadagno” (v. D.Lgs. 8 giugno 2001, n. 231, circa i criteri di imputazione oggettiva di cui al riferimento contenuto nell’art. 5 del Decreto medesimo – interesse o vantaggio dell’ente – ).
La Corte si è espressa in termini analoghi circa la pretesa abnormità del comportamento di un lavoratore caduto al suolo da un’impalcatura durante i lavori di ristrutturazione di un immobile (ord. 19 dicembre 2017, n. 30437). In questo caso, i giudici hanno affermato che gravava “sul titolare dell’impresa il preciso obbligo non solo di fornire gli strumenti necessari alla tutela della salute del prestatore, ma anche di assicurarsi che egli facesse effettivo uso del casco e della cintura di sicurezza, aggiungendo che il comportamento posto in essere (salire sulla parte non calpestabile del ponteggio e appoggiare il piede sulla mantovana) non fosse connotato da abnormità e/o imprevedibilità”. Non esorbitava, infatti, dall’attività lavorativa salire sul ponteggio al fine di procedere al suo smontaggio, dovendo lo stesso essere rimosso, in quanto già ritenuto non conforme alle esigenze di sicurezza; il che richiedeva, “evidentemente, l’impiego di una ulteriore attenzione e di una supplementare cautela da parte del datore di lavoro, garante della sicurezza”, il quale aveva invece adibito ad una attività particolarmente pericolosa un lavoratore, peraltro appena assunto, senza dargli adeguate informazioni e vincolanti prescrizioni. Né il lavoratore poteva immaginare che l’impalcatura non fosse stabile, “anche perché dava l’impressione che fosse stabile, né c’era segnaletica che avvisasse della sua pericolosità”.
Sebbene il datore di lavoro si giustificasse, sostenendo di “non avere impartito nessuna direttiva al lavoratore”, e di avergli fornito i necessari presidi di protezione, la Corte ha sottolineato che egli, “aveva il preciso obbligo di individuare anzitutto ogni situazione di rischio presente sul luogo di lavoro, di informare tempestivamente e dettagliatamente il lavoratore e di sottoporlo alla opportuna vigilanza in ordine al corretto impiego dei medesimi mezzi di prevenzione, essendo tra l’altro al suo primo giorno di lavoro”.
Sull’argomento, v., in questo sito, Cass. 4 settembre 2017, n. 40746, con nota di A. Lardaro; Cass. 7 settembre 2017, n. 40706, con nota di F. Belmonte.