Se nella lettera di recesso per motivi disciplinari viene concesso il pagamento dell’indennità sostitutiva del preavviso, tale recesso deve intendersi per giustificato motivo soggettivo, con conseguente applicazione della relativa disciplina.

Nota a Tribunale di Roma, 11 gennaio 2018, n. 124

Gennaro Ilias Vigliotti

Il licenziamento, com’è noto, ai sensi dell’art. 1, L. n. 604/1966, può essere irrogato, soltanto per giusta causa – e cioè quando non sia più possibile la prosecuzione, anche provvisoria, del rapporto di lavoro (art. 2119 c.c.) – o per giustificato motivo – e cioè quando vi è un notevole inadempimento degli obblighi contrattuali del prestatore di lavoro o vi sono ragioni inerenti all’attività produttiva, all’organizzazione del lavoro ed al regolare funzionamento di essa (art. 3, L. n. 604/1966).

Nell’ambito dei licenziamenti c.d. “disciplinari”, cioè intimati a motivo di una condotta colpevole del lavoratore, il datore potrà dunque recedere per giusta causa solo dinanzi ad un inadempimento così grave da non consentire in alcun modo (e nemmeno temporaneamente) il prosieguo del rapporto, con la conseguenza che non sarà tenuto a dare al dipendente alcun preavviso.

In caso di inadempimento notevole, ma non così grave da richiedere l’interruzione “in tronco”, il datore intimerà invece un licenziamento per “giustificato motivo soggettivo”, il quale prevede l’obbligo (ex art. 2118 c.c.), di riconoscere il periodo di preavviso previsto dal ccnl applicato o, in alternativa, di “monetizzare” tale periodo con il versamento della retribuzione corrispondente.

Ebbene, nel caso in cui nella lettera di licenziamento non sia chiarito il titolo del licenziamento disciplinare intimato dal datore di lavoro, il riconoscimento in favore del lavoratore del preavviso contrattuale (o dell’indennità sostitutiva) è indice di esclusione in radice della giusta causa, con la conseguenza che il licenziamento dovrà necessariamente intendersi come intimato per giustificato motivo soggettivo.

A riconoscere tale principio è stato, con una recente sentenza (la n. 124 dell’11 gennaio 2018), il Tribunale di Roma, il quale ha conosciuto della controversia sorta tra una lavoratrice ed un’azienda di servizi, che l’aveva licenziata, per motivi disciplinari, durante il periodo di gravidanza. Ebbene il giudice, appurato che la società convenuta aveva pagato alla dipendente l’indennità di mancato preavviso contrattuale al momento della cessazione del rapporto, ha riconosciuto che il licenziamento era stato intimato per giustificato motivo soggettivo e, conseguentemente, lo aveva dichiarato nullo, poiché intimato durante la gravidanza; ai sensi dell’art. 54, D.Lgs. n. 151/2001, infatti, solo il licenziamento per giusta causa resta valido durante tale periodo, giusta causa però esclusa, nel caso specifico, proprio dall’avvenuto riconoscimento del periodo di preavviso.

Per queste ragioni, il giudice, trattandosi di rapporto sorto dopo il 7 marzo 2015, ed applicando quindi la disciplina del c.d. “Jobs Act”, ha disposto la reintegrazione “piena” della lavoratrice ai sensi dell’art. 2 del D.Lgs. n. 23/2015, condannando il datore di lavoro a riammettere in servizio la dipendente ed a pagarle tutte le retribuzioni dal giorno del licenziamento fino all’effettiva reintegra.

Pagare il preavviso di licenziamento esclude la giusta causa
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