Il recesso collettivo è configurabile anche nell’ipotesi di risoluzione consensuale

Nota a Cass. 20 luglio 2020, n. 15401

Paolo Pizzuti

Nel numero minimo dei cinque licenziamenti, in presenza dei quali, in base all’art. 4, L. n. 223/1991, va attivata la procedura collettiva di informazione e consultazione sindacale, rientrano le risoluzioni consensuali, come nel caso di un trasferimento comunicato dal datore di lavoro e non accettato dal dipendente.

La rilevante affermazione è della Corte di Cassazione (20 luglio 2020, n. 15401, difforme, sul punto da App. Milano 7 aprile 2017, n. 14248), la quale supera la diversa interpretazione precedentemente fornita dalla giurisprudenza di legittimità. Secondo tale interpretazione, nel numero minimo di cinque licenziamenti (considerato sufficiente ad integrare l’ipotesi del licenziamento collettivo) non potevano includersi altre differenti ipotesi risolutorie del rapporto di lavoro, seppur riferibili all’iniziativa del datore di lavoro (v. Cass. n. 1334/2007 e Cass. n. 13714/2001). Ciò, in quanto il termine licenziamento doveva intendersi “in senso tecnico, senza potere ad esso parificare qualunque altro tipo di cessazione del rapporto determinata (anche o soltanto) da una scelta del lavoratore, come nelle ipotesi di dimissioni, risoluzioni concordate, o prepensionamenti, anche ove tali forme di cessazione del rapporto fossero riconducibili alla medesima operazione di riduzione delle eccedenze della forza lavoro giustificante il ricorso ai licenziamenti” (v. Cass. n. 7519/2010 e Cass. n. 3866/2006).

L’attuale indirizzo della Cassazione si pone in linea con l’orientamento assunto dalla Corte di Giustizia UE (11 novembre 2015, C-422/14, p.ti da 50 a 54), per  la quale nella nozione di licenziamento rientra il fatto che un datore di lavoro proceda “unilateralmente e a svantaggio del lavoratore, ad una modifica sostanziale degli elementi essenziali del contratto di lavoro per ragioni non inerenti alla persona del lavoratore stesso, da cui consegua la cessazione del contratto di lavoro, anche su richiesta dal lavoratore medesimo”.

Com’è intuibile, la decisione merita una particolare attenzione anche con riguardo alle eventuali gestioni degli esuberi che potrebbero intraprendere le imprese, nei prossimi mesi, dopo il temporaneo blocco dei licenziamenti collettivi ed individuali per ragioni oggettive introdotto dall’art. 46 del c.d. Decreto Italia (D.L. 17 marzo 2020, n.18) e prorogato fino al 31 dicembre 2020 dall’art. 14 del c.d. Decreto Agosto (D.L. 14 agosto 2020, n. 104). In molti casi, infatti, i licenziamenti in questione (almeno cinque, “nell’arco di centoventi giorni, in ciascuna unità produttiva, o in più unità produttive nell’ambito del territorio di una stessa provincia” ex art. 24, co.1, L. n. 223/2001) possono assumere la forma di risoluzione consensuale.

Licenziamenti collettivi e risoluzione consensuale
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