Il diritto del dipendente che assiste con continuità un parente disabile a non essere trasferito senza il suo consenso prevale sulle ordinarie esigenze tecnico-produttive dell’azienda e decorre dalla richiesta dei benefici di cui alla L. n.104/1992.

Nota a Cass. 17 dicembre 2020, n. 29009

Pamela Coti

Il lavoratore che assiste un familiare disabile ha diritto a non essere trasferito ad altra sede lavorativa senza il suo consenso, tale diritto non può subire limitazioni anche se lo spostamento venga attuato nell’ambito della medesima unità produttiva, risultando l’inamovibilità giustificata dal dovere di cura e di assistenza da parte del lavoratore al familiare disabile.

Lo ha stabilito la Corte di Cassazione 17 dicembre 2020, n.29009 in relazione alla domanda del lavoratore di annullamento del trasferimento per mancanza del suo assenso.

Al riguardo la Suprema Corte, richiamando la consolidata giurisprudenza costituzionale, ha, in primo luogo, premesso che:

  • il legislatore, con la L. 5 febbraio 1992, n.104 (Legge-Quadro per l’assistenza, l’integrazione sociale e i diritti delle persone handicappate), ha preso in considerazione l’esigenza di favorire la socializzazione del soggetto disabile, predisponendo strumenti atti ad agevolare il suo pieno inserimento nella famiglia, nella scuola e nel lavoro (con richiamo a Corte Cost. n. 350/2003 nonché a n. 167/1999, n. 226/ 2001 e n. 467/2002);
  • la famiglia, nella cura e nell’assistenza dei soggetti portatori di handicap, riveste un ruolo fondamentale: cura, inserimento sociale e continuità delle relazioni costitutive della personalità umana (Corte Cost. n. 203/2013);
  • ai fini della nozione di handicap non può essere ignorata la complessiva situazione familiare del lavoratore (sulla base del richiamo alla Convenzione ONU alla quale la Corte di Giustizia dell’Unione Europea ha aderito), in quanto la tutela in questione non può prescindere da un’adeguata regolamentazione del contratto di lavoro dei familiari conviventi con la persona tutelata;
  • alla luce dell’art. 3 Cost, co. 2 e dell’art. 26 della Carta di Nizza e della Convenzione delle Nazioni Unite 13 dicembre 2006 sui diritti dei disabili, è “vietato il trasferimento del lavoratore che assista un familiare disabile anche quando il grado di disabilità dell’assistito non si configuri come grave, a meno che il datore di lavoro, a fronte della natura e del grado di infermità psico-fisica del familiare, provi la sussistenza di esigenze aziendali effettive ed urgenti, insuscettibili di essere altrimenti soddisfatte” (Cass. 7 giugno 2012, n. 9201).

Sulla base di tali ragioni, nel caso di specie, i giudici di legittimità hanno concluso che:

  • ai sensi dell’art. 33, co. 5 della L. n.104 del 1992 “il genitore o il familiare lavoratore, con rapporto di lavoro pubblico o privato, che assista con continuità un parente o un affine entro il terzo grado handicappato, con lui convivente, ha diritto a scegliere, ove possibile, la sede di lavoro più vicina al proprio domicilio e non può essere trasferito senza il suo consenso ad altra sede”; pertanto tale consenso risulta imprescindibile e come tale necessario ai fini della legittimità del trasferimento che pure sia giustificato da esigenze tecnico organizzative del datore di lavoro;
  • il diritto del dipendente a non essere trasferito senza il suo consenso decorre dalla presentazione della domanda volta ad ottenere i benefici di cui alla L. n. 104/ 1992 e non dalla data del provvedimento concessorio da parte dell’INPS.
Il trasferimento senza consenso del dipendente che assiste un familiare disabile è illegittimo
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