È discriminatoria la norma del ccnl che include nel calcolo del periodo di comporto le assenze del lavoratore disabile non appartenente alla categoria protetta ex L. n. 104/92.
Nota a Trib. Verona (ord.) 22 marzo 2021
Francesco Belmonte
L’applicazione al lavoratore disabile, assentatosi a causa di malattie riconducibili al proprio stato di invalidità, della medesima previsione del ccnl sul conteggio delle assenze ai fini del comporto riguardante i lavoratori “normodotati” rappresenta una discriminazione indiretta, tale da provocare la nullità del licenziamento fondato sulla suddetta previsione contrattuale.
In tale linea si è espresso il Tribunale di Verona (ord. 22 marzo 2021) in relazione ad una controversia concernente la legittimità del licenziamento intimato ad un lavoratore disabile per superamento del periodo di comporto, calcolato in base alle previsioni del ccnl (Agenzie Somministrazione di Lavoro) del 2014, applicabile ratione temporis alla fattispecie in esame.
In particolare, l’art. 39 del ccnl, prevedendo che “per i soggetti con disabilità destinatari delle previsioni contenuti nell’art. 3 comma 3 della legge 104/92, i permessi per cura sono esclusi dal computo dei periodi di malattia”, estrometteva dall’esonero in questione quei lavoratori che, seppur disabili, non erano riconosciuti come portatori di handicap in situazione di gravità, in base a quanto prescritto dalla L. 5 febbraio 1992, n. 104.
Il giudice di merito, investito della questione, ha accolto le richieste del dipendente, qualificando la previsione collettiva come discriminatoria e dichiarando la nullità del recesso datoriale, ai sensi dell’art. 15 Stat. Lav., con conseguente applicazione della tutela reale di cui all’art. 18, co. 1-3, Stat. Lav.
In particolare, per il Tribunale, la norma del ccnl “appare non sufficiente per poter escludere il rischio di una ingiustificata disparità di trattamento rispetto ai lavoratori portatori di handicap. Infatti essa si limita a disciplinare i permessi per cura richiesti da una determinata categoria di soggetti portatori di handicap e cioè coloro che si trovano in una situazione di gravità. Pertanto sono esclusi i soggetti disabili che, come il ricorrente, non sono riconosciuti in condizione di gravità, ma sono comunque ascrivibili alla categoria protetta contro le discriminazioni nel rapporto di lavoro dalla normativa europea e nazionale.”
Più precisamente, l’esclusione contemplata dal ccnl rappresenta una discriminazione indiretta che sussiste, ai sensi dell’art. 2, lett. b), Dir. 2000/78/CE del 27 novembre 2000, “quando una disposizione, un criterio o una prassi apparentemente neutri possono mettere in una posizione di particolare svantaggio le persone che professano una determinata religione o ideo-logia di altra natura, le persone portatrici di un particolare handicap, le persone di una particolare età o di una particolare tendenza sessuale, rispetto ad altre persone”.
Per garantire il rispetto del principio della parità di trattamento dei disabili, il datore di lavoro è tenuto ad adottare “soluzioni ragionevoli”, ossia “provvedimenti appropriati, in funzione delle esigenze delle situazioni concrete, per consentire ai disabili di accedere ad un lavoro, di svolgerlo o di avere una promozione o perché possano ricevere una formazione, ameno che tali provvedimenti richiedano da parte del datore di lavoro un onere finanziario sproporzionato.” (art. 5, Dir. cit.)
Nella stessa linea, il D.LGS. 9 luglio 2003, n. 216, in attuazione della richiamata Direttiva, stabilisce, all’art. 3, co. 3-bis, che: “Al fine di garantire il rispetto del principio della parità di trattamento delle persone con disabilità, i datori di lavoro pubblici e privati sono tenuti ad adottare accomodamenti ragionevoli, come definiti dalla Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità, ratificata ai sensi della legge 3 marzo 2009, n. 18, nei luoghi di lavoro, per garantire alle persone con disabilità la piena eguaglianza con gli altri lavoratori.”
Da ciò discende che, “l’applicazione generalizzata della disciplina dettata dal ccnl del 2014, senza la previsione di accorgimenti a tutela delle persone che come il ricorrente siano da qualificare come disabili, crea una discriminazione indiretta”.
Per il giudice veronese, la lacunosità della norma collettiva è confermata proprio dalla circostanza che, in sede di rinnovo del ccnl avvenuto nel 2019, i firmatari hanno inteso introdurre un’espressa previsione in forza della quale vengono escluse dal periodo di comporto le assenze per malattia “Ingravescenti”, a prescindere dal riconoscimento del lavoratore come portatore di handicap in situazione di gravità.