Obbligare una lavoratrice madre, unica affidataria del figlio minore di dodici anni, a svolgere lavoro notturno, è discriminatorio.

Nota a Trib. Roma 27 febbraio 2021, n. 21774

Francesco Belmonte

La scelta del datore di lavoro di non consentire l’esonero dal lavoro notturno in favore della lavoratrice madre, unica affidataria del figlio minore di dodici anni – come sancito dall’art. 11, D.LGS. n. 66/2003 – costituisce una discriminazione ai sensi dell’art. 25, co. 2-bis, D.LGS. n. 198/2006. Al fine di integrare la fattispecie discriminatoria non rileva l’elemento soggettivo della volontà del datore di discriminare, essendo sufficiente che la condotta abbia prodotto il pregiudizio che la norma vuole evitare, ossia un “trattamento meno favorevole in ragione dello stato di gravidanza, nonché di maternità o paternità, anche adottive, ovvero in ragione della titolarità e dell’esercizio dei relativi diritti” (art. 25, co. 2-bis, D.LGS. n.198/2006).

A stabilirlo è il Tribunale di Roma (decreto 27 febbraio 2021) in una fattispecie concernente il rifiuto opposto dall’azienda alla richiesta di una lavoratrice madre di essere esonerata dal prestare lavoro notturno.

In particolare, la dipendente, con qualifica di “operatrice di gestione del settore metroferroviario”, in seguito alla sentenza di separazione dal coniuge e in ragione dell’impossibilità di quest’ultimo di tenere con sé i due figli minori (di 14 e 7 anni), risultava unica affidataria dei bambini.

La lavoratrice, considerata la condizione di genitore “solo”, aveva chiesto all’azienda datrice di essere esonerata dal lavoro notturno ai sensi dell’art. 11, D.LGS. n. 66/2003.

Tale domanda, inizialmente accolta per due anni, veniva revocata oralmente dalla società durante l’emergenza pandemica, in ragione della circostanza che il suo accoglimento “avrebbe creato disagi organizzativi e disagi ai colleghi in situazioni analoghe a quella della ricorrente o più complesse”.

Per la dipendente, invece, l’esclusione dal beneficio in questione rappresentava “una condizione di svantaggio rispetto agli altri lavoratori ed alle altre lavoratrici che non siano genitori o genitrici di minori, ai sensi dell’art. 25, co. 2-bis, D.LGS. n. 198/2006”. In ragione di ciò, ella riteneva che la condotta datoriale fosse discriminatoria e chiedeva al giudice la sua cessazione, unitamente all’esenzione dal lavoro notturno.

Il giudice di merito, investito della questione, al fine di stabilire se ricorra o meno una discriminazione ai sensi del D.LGS. n. 198/2006, osserva che costituisce discriminazione diretta “qualsiasi disposizione, criterio, prassi, atto, patto o comportamento, nonché l’ordine  di  porre in essere un atto o un comportamento,  che  produca un effetto pregiudizievole discriminando le  lavoratrici o i lavoratori in ragione del loro sesso e, comunque, il trattamento  meno  favorevole  rispetto a quello di un’altra lavoratrice o di un altro lavoratore in situazione analoga” (art. 25, co. 1, D.LGS. cit.).

Viceversa, “si ha discriminazione indiretta, ……, quando una disposizione, un criterio, una prassi, un atto, un patto o un comportamento apparentemente neutri mettono o possono mettere i lavoratori di un determinato sesso in una posizione di particolare svantaggio rispetto  a  lavoratori  dell’altro  sesso,  salvo  che riguardino requisiti essenziali allo svolgimento dell’attività lavorativa, purché  l’obiettivo sia legittimo e i mezzi impiegati per il suo conseguimento siano appropriati e necessari” (art. 25, co. 2, D.LGS. cit.).

L’art. 1, co.1, lett. p), n. 2), D.LGS. n. 5/2010 ha introdotto successivamente il comma 2-bis, in base al quale: “costituisce discriminazione, ai sensi del presente titolo, ogni trattamento meno favorevole in ragione dello stato di gravidanza, nonché di maternità o paternità, anche adottive, ovvero in ragione della titolarità e dell’esercizio dei relativi diritti.”

Ciò posto, il Tribunale evidenzia come la maternità sia “ancora oggi un importante fattore di discriminazione diretta sul mercato e all’interno delle dinamiche lavorative”. Per tale motivo, “il legislatore è intervenuto con svariate disposizioni assicurando alle lavoratrici madri una protezione specifica di grado più elevato”.

In tale linea, l’art. 11, co. 2, lett. b), D.LGS. n. 66/2003, ha introdotto nell’ordinamento una tutela differenziata in favore delle lavoratrici madri «ovvero una disparità c.d. vantaggiosa avente la funzione di riequilibrare la posizione di tali soggetti, portatori di un importante fattore di diseguaglianza, rispetto ai lavoratori di sesso maschile ovvero alle lavoratrici senza figli “in situazione analoga”».

Sulla base di tali argomentazioni, il giudice di merito accoglie il ricorso della lavoratrice, ritenendo sussistente la discriminazione denunziata per violazione dell’art. 11, co. 2, lett. b), D.LGS. n. 66/2003, condannando la società datrice alla cessazione del comportamento illegittimo ed alla concessione dell’esenzione dal lavoro notturno fino al compimento del 12° anno di età del figlio minore.

Adibizione al lavoro notturno della lavoratrice madre
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