La condotta mobbizzante tenuta dal datore di lavoro nei confronti dei dipendenti, minacciandoli e sottoponendoli a rimproveri e umiliazioni finalizzati ad isolarli e mortificarli nell’ambiente di lavoro, integra il reato di stalking aggravato. 

Nota a Cass. 5 aprile 2022, n. 12827

Giuseppe Rossini

“Integra il delitto di atti persecutori la condotta di mobbing del datore di lavoro che ponga in essere una mirata reiterazione di plurimi atteggiamenti convergenti nell’esprimere ostilità verso il lavoratore dipendente e preordinati alla sua mortificazione e al suo isolamento nell’ambiente di lavoro – che ben possono essere rappresentati dall’abuso del potere disciplinare culminante in licenziamenti ritorsivi – tali da determinare un vulnus alla libera autodeterminazione della vittima, così realizzando uno degli eventi alternativi previsti dall’art. 612-bis cod. pen.”.

Anche nell’ipotesi di “stalking occupazionale” … “per la sussistenza del delitto di cui all’art. 612-bis c.p. è sufficiente il dolo generico, con la conseguenza che è richiesta la mera volontà di attuare reiterate condotte di minaccia e molestia, nella consapevolezza della loro idoneità a produrre uno degli eventi alternativamente previsti dalla norma incriminatrice, mentre non occorre che tali condotte siano dirette ad un fine specifico”.

In sintesi, le condotte mobbizzanti che determinano uno stato di prostrazione psicologica della vittima possono integrare il reato di atti persecutori ex art. 612-bis c.p. se finalizzate a umiliare e isolare il dipendente nell’ambiente di lavoro attraverso l’abuso di una posizione apicale.

Lo afferma la Corte di Cassazione (5 aprile 2022, n. 12827) in una vicenda in cui il presidente di una srl, per migliorare la produttività della sua azienda, aveva ripetutamente perseguitato i dipendenti, minacciando di “cementarli” in un pilastro, invitandoli a confrontarsi fisicamente con lui e sottoponendoli a pubblici rimproveri inutilmente mortificanti, nonché a provvedimenti disciplinari sfociati anche in un licenziamento al fine di intimorire gli iscritti al sindacato.

Secondo i giudici, inoltre, non rileva il fatto che le condotte dell’imputato fossero finalizzate a «rendere più efficiente la società» o che «fossero condivise dal Consiglio di Amministrazione», posto  che “l’efficienza della società non può essere raggiunta attraverso la persecuzione e l’umiliazione dei dipendenti ed, in genere, mediante la commissione di delitti ai danni della persona, dovendo la tutela della persona  e, nel caso specifico, del lavoratore,  in ogni caso prevalere sugli interessi economici”. In particolare, “la condivisione da parte degli altri componenti del Consiglio di Amministrazione potrebbe semmai comportare una condivisione da parte di tali soggetti della responsabilità penale e, giammai, l’assoluzione dell’imputato”.

In materia di stalking, v. Cass. n. 31273/2020 (annotata, in q. sito da P. COTI), secondo cui le condotte di mobbing possono integrare il reato di stalking, qualora la mirata reiterazione della pluralità di atteggiamenti, convergenti nell’esprimere ostilità verso la vittima e preordinati a mortificare ed isolare il dipendente nell’ambiente di lavoro, cagioni uno degli eventi delineati dall’art. 612 bis c.p.; Cass., sez. V pen., 19 luglio 2017, n. 35588 (annotata, in q. sito, da F. BELMONTE), per la quale la condotta molesta ed oppressiva reiteratamente posta in essere nei confronti di un dipendente è punibile come atto persecutorio ai sensi dell’art. 612 bis c.p.; F. DE FALCO, Dal mobbing allo stalking occupazionale, in Il diritto del mercato del lavoro, 2016, 549.

Mobbing e stalking
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