La dipendente di una ASL che si dimette dopo aver fruito del congedo obbligatorio di maternità ha diritto all’indennità sostitutiva per le ferie non godute in tale periodo.

Nota a Cass. (ord.) 15 giugno 2022, n. 19330

Fabrizio Girolami

La Direttiva 2003/88/CE del 4.11.2003 (concernente taluni aspetti dell’orario di lavoro) in materia di ferie annuali stabilisce che “il periodo minimo di ferie annuali retribuite non può essere sostituito da un’indennità finanziaria, salvo in caso di fine del rapporto di lavoro” (art. 7, paragrafo 2).

Con riferimento al personale (anche dirigenziale) dipendente delle amministrazioni pubbliche inserite nel “conto economico consolidato” come individuate dall’ISTAT (tra cui le Aziende Sanitarie Locali), l’art. 5 del D.L. n. 95/2012, convertito, con modificazioni, dalla L. n. 135/2012, stabilisce che le ferie, i riposi e i permessi devono essere “obbligatoriamente fruiti secondo quanto previsto dai rispettivi ordinamenti” e “non danno luogo in nessun caso alla corresponsione di trattamenti economici sostitutivi” anche “in caso di cessazione del rapporto di lavoro per mobilità, dimissioni, risoluzione, pensionamento e raggiungimento del limite di età”.

Alla luce di tale quadro normativo, la Cassazione, con l’ordinanza n. 19330 del 15.06.2022, ha affermato che l’indennità sostitutiva delle ferie non godute va riconosciuta anche alla lavoratrice che non abbia potuto fruirne per astensione obbligatoria dal lavoro (prima e dopo il parto), restando invece neutra la modalità di cessazione del rapporto, connessa alla scelta di dimettersi.

Nel caso di specie, una lavoratrice di una ASL aveva chiesto la condanna dell’azienda al pagamento dell’indennità sostitutiva per ferie non godute (per un totale di 26 giorni) delle quali non aveva potuto fruire in quanto in congedo obbligatorio per maternità sino alla risoluzione del rapporto di lavoro intervenuta per dimissioni volontarie.

La richiesta era stata accolta in primo grado, ma rigettata dalla Corte d’Appello di Cagliari. Secondo la Corte di merito, la richiesta della lavoratrice non poteva trovare fondamento alla luce della suindicata norma dell’art. 5, co. 8, del D.L. n. 95/2012, che prevede il divieto di monetizzazione delle ferie non godute nel caso in cui l’estinzione del rapporto abbia luogo per dimissioni volontarie.

Di diverso avviso è stata invece la Corte di Cassazione che, nell’accogliere il ricorso della lavoratrice, ha riformato la sentenza della Corte d’Appello, affermando quanto segue:

  • nell’ipotesi in esame, va valorizzato il fatto che, in relazione al periodo precedente le dimissioni, il datore era impossibilitato a concedere le ferie alla lavoratrice, e, soprattutto, la lavoratrice non poteva fruirne, essendo in astensione obbligatoria per maternità;
  • l’astensione obbligatoria per maternità è sostanzialmente sovrapponibile a una condizione di malattia o, comunque, di un’ipotesi di impossibilità di fruizione delle ferie, indipendente dalla volontà della prestatrice;
  • la dipendente, infatti, nel periodo di astensione obbligatoria non avrebbe potuto fruire delle ferie e ciò rende neutra la circostanza che la stessa abbia poi scelto di dimettersi per dare corso a una nuova esperienza lavorativa;
  • pertanto, dell’art. 5, co. 8, del D.L. n. 95/2012, va data “una interpretazione orientata” alla luce dei principi tracciati dall’art. 7, co. 2, della Direttiva 2003/88/CE, come interpretato dalla Corte di Giustizia UE (si veda CGUE 6.11.2918, causa C. n. 619/2016). Pertanto, va riconosciuto il diritto all’indennità sostitutiva delle ferie anche nel caso di specie, in cui l’impossibilità di fruizione delle stesse è stata determinata dal versare la lavoratrice nella situazione che (pre e post parto) impone l’astensione obbligatoria dal lavoro. Resta, invece, neutra nella peculiare situazione in esame, la modalità di cessazione del rapporto, connessa alla scelta di dimettersi.
Dimissioni e ferie non godute per maternità: spetta l’indennità sostitutiva
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