Il lavoratore può rifiutare la prestazione soltanto in presenza di una richiesta datoriale di svolgere compiti aggiuntivi e gravosi.
Nota a Cass. (ord.) 18 aprile 2023, n. 10227
Kevin Puntillo
La Corte di Cassazione (ord. 18 aprile 2023, n. 10227) chiarisce i principi relativi all’inadempimento della prestazione lavorativa, precisando che:
1) nel contratto di lavoro, in quanto contratto a prestazioni corrispettive, se una delle parti adduce, a giustificazione della propria inadempienza, l’inadempimento dell’altra, spetta al giudice procedere alla valutazione comparativa dei comportamenti, con riguardo alla “causalità e proporzionalità esistenti tra le prestazioni inadempiute rispetto alla funzione economico sociale del contratto”, alla luce dei reciproci obblighi di correttezza e buona fede (ex artt. 1175 e 1375 c.c.) e ai sensi dell’art. 1460 c.c. Ciò, affinché “l’eccezione di inadempimento sia conforme a buona fede e non pretestuosamente strumentale all’intento di sottrarsi alle proprie obbligazioni contrattuali” (v., fra tante, Cass. n. 8911/2019 e Cass. n. 16530/2003);
2) il prestatore è tenuto ad osservare le disposizioni per l’esecuzione del lavoro impartite dall’imprenditore (ex artt. 41 Cost. nonché 2086 e 2104 c.c.) e può invocare l’art. 1460 c.c. “solo in caso di totale inadempimento del datore di lavoro, o che sia tanto grave da incidere in maniera irrimediabile sulle esigenze vitali del lavoratore medesimo”. Perciò, ad esempio, “il lavoratore adibito a mansioni non rispondenti alla qualifica può chiedere giudizialmente la riconduzione della prestazione nell’ambito della qualifica di appartenenza, ma non può rifiutarsi senza avallo giudiziario di eseguire la prestazione richiestagli”, assentandosi dal lavoro (v. Cass. n. 836/2018);
3) di conseguenza, “il rifiuto del lavoratore di adempiere la prestazione secondo le modalità indicate dal datore di lavoro è idoneo, ove non improntato a buona fede, a far venir meno la fiducia nel futuro adempimento e a giustificare pertanto il recesso, in quanto l’inottemperanza ai provvedimenti datoriali, pur illegittimi, deve essere valutata, sotto il profilo sanzionatorio, alla luce del disposto dell’art. 1460, comma 2, c.c., secondo il quale la parte adempiente può rifiutarsi di eseguire la prestazione a proprio carico solo ove tale rifiuto non risulti contrario alla buona fede, avuto riguardo alle circostanze concrete” (così, Cass. n. 12777/2019);
4) anche in caso di trasferimento adottato in violazione dell’art. 2103 c.c. “l’inadempimento datoriale non legittima in via automatica il rifiuto del lavoratore ad eseguire la prestazione lavorativa in quanto, vertendosi in ipotesi di contratto a prestazioni corrispettive, trova applicazione il disposto dell’art. 1460, comma 2, c.c., alla stregua del quale la parte adempiente può rifiutarsi di eseguire la prestazione a proprio carico solo ove tale rifiuto, avuto riguardo alle circostanze concrete, non risulti contrario alla buona fede e sia accompagnato da una seria ed effettiva disponibilità a prestare servizio” (in questo senso, Cass. n. 434/2019 e Cass. n. 11408/2018);
5) in questo quadro, è legittimo solo “il rifiuto opposto dal lavoratore alla richiesta, avanzata dal datore, di svolgimento di compiti aggiuntivi, incompatibili con l’adibizione costante del prestatore ad un impegno lavorativo gravoso nonché ostativi al recupero delle energie psicofisiche ed alla cura degli interessi familiari del medesimo”, con esclusione, quindi, di una condotta di insubordinazione (Cass. n. 12094/2018).