In caso di licenziamento illegittimo la reintegrazione del lavoratore deve avvenire nel luogo e nelle mansioni originarie, con ripristino della medesima posizione lavorativa che sussisteva al momento del recesso. In caso contrario, il rifiuto della prestazione configura una legittima eccezione d’inadempimento.

Nota a Cass. 5 giugno 2023, n. 15676

Raffaele Fabozzi

“La trasformazione del rapporto di lavoro a tempo pieno in rapporto di lavoro a tempo parziale disposta unilateralmente dal datore di lavoro, senza accordo del lavoratore e senza pattuizione in forma scritta” costituisce un inadempimento all’ordine di reintegrazione nel posto di lavoro, al quale il lavoratore può opporre eccezione di inadempimento ai sensi dell’art. 1460 c.c. (v. D.LGS. n. 81/2015, artt. 5 e 8, che hanno ripreso i principi di cui al D.LGS. n. 61/2000, artt. 2, 5 e 8).

Questo il principio sancito dalla Corte di Cassazione (5 giugno 2023, n. 15676, conf. ad App. Roma n. 3/2020) in un caso in cui il lavoratore, già licenziato e reintegrato, all’atto del rientro in servizio, aveva rifiutato la prestazione poiché il datore di lavoro aveva unilateralmente trasformato il suo rapporto da tempo pieno a tempo parziale. In conseguenza di tale rifiuto lo stesso veniva licenziato per giusta causa.

I giudici precisano che in caso di licenziamento illegittimo:

a) l’ottemperanza del datore di lavoro all’ordine giudiziale di riammissione in servizio implica il ripristino della posizione di lavoro del dipendente;

b) il reinserimento del prestatore nell’attività lavorativa deve avvenire nel luogo precedente e nelle mansioni originarie;

c) in caso contrario, salvo la sussistenza di sufficienti ragioni tecniche, organizzative e produttive, si configura una condotta datoriale illecita “che giustifica la mancata ottemperanza a tale provvedimento da parte del lavoratore, sia in attuazione di un’eccezione di inadempimento ai sensi dell’articolo 1460 c.c. (in base al quale nei contratti con prestazioni corrispettive, ognuno dei contraenti, se l’altro non adempie o non offre di adempiere, può rifiutarsi a sua volta di onorare la propria obbligazione), sia sulla base del rilievo che gli atti nulli non producono effetti” (v. in tal senso, la giurisprudenza consolidata: Cass. n. 19579/2019; n. 23595/2018 e Cass. n. 11927/2013);

d) in materia di licenziamento individuale per giusta causa, la tutela reintegratoria per insussistenza del fatto contestato (art. 18, co. 4, Stat. lav., come mod. dalla L. n. 92/2012, art. 1, co. 42, lett. b)), “comprende anche l’ipotesi del fatto sussistente ma privo del carattere di illiceità” (v. Cass. n. 3655/2019, in q. sito con nota di P. VELARDI);

e) in particolare, in tema di licenziamento disciplinare, “qualora il comportamento addebitato al lavoratore, consistente nel rifiuto di rendere la prestazione secondo determinate modalità, sia giustificato dall’accertata illegittimità dell’ordine datoriale e dia luogo pertanto a una legittima eccezione d’inadempimento, il fatto contestato deve ritenersi insussistente perché privo del carattere dell’illiceità, con conseguente applicazione della tutela reintegratoria attenuata” (di cui all’art. 18, co.4, cit ; v. Cass. n. 19579/2019, cit.).

Sentenza

Corte di Cassazione 5 giugno 2023, n. 15676

(Omissis)

FATTI DI CAUSA

1.La Corte d’Appello di Roma, per quanto in questa sede rileva, in accoglimento del reclamo proposto da (OMISSIS) avverso sentenza del Tribunale di Tivoli (di rigetto dell’opposizione all’ordinanza che aveva respinto le sue originarie domande), ha annullato il licenziamento intimatogli da (OMISSIS) s.p.a. con lettera datata 25/10/2016 e condannato quest’ultima a reintegrarlo nel posto di lavoro ed a pagargli l’indennità risarcitoria nella misura di 12 mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto, nonché al versamento dei contributi previdenziali ed assistenziali dal giorno del licenziamento fino a quello dell’effettiva reintegrazione.

2. La Corte di merito ha, in particolare, osservato che:

– il reclamante aveva lavorato per la società reclamata dall’1/6/2012 al 27/10/2014, data in cui era stato licenziato per pretesa impossibilità sopravvenuta, a seguito di visita del medico competente e valutazione di idoneità allo svolgimento delle mansioni con limitazioni;

– il reclamante aveva impugnato detto licenziamento ed ottenuto ordinanza di reintegrazione dal Tribunale di Tivoli in data 15/4/2016, non avendo il datore di lavoro fornito la prova dell’impossibilità di collocarlo in altre attività;

– con ordine di servizio del 6/7/2016 l’azienda aveva stabilito le modalità di reintegrazione nel posto di lavoro, prevedendo orario a tempo parziale (verticale ed orizzontale, a seconda dei periodi dell’anno) e mansioni di addetto allo spazzamento manuale con carretto e alla raccolta porta a porta di umido, plastica o cartoni dalle utenze domestiche;

– il reclamante non si era presentato a riprendere il lavoro, perché l’ordine di servizio non lo reintegrava nel posto di lavoro in precedenza occupato;

– con lettera 15/9/2016 gli era stata mossa contestazione disciplinare per assenza ingiustificata dall’1/9/2016;

– il reclamante non aveva presentato le proprie giustificazioni con assistenza di rappresentante sindacale come richiesto, a causa di malattia;

– in data 25/10/2016 gli era stato intimato licenziamento per giusta causa per assenza ingiustificata dal servizio;

– richiamati il giudizio relativo al precedente licenziamento e gli accertamenti medici svolti, doveva ritenersi sussistente il diritto del lavoratore ad avvalersi dell’eccezione di inadempimento, per la nullità del ripristino del rapporto in una forma contrattuale non concordata dalle parti, con inadempimento della società all’ordine di reintegrazione;

– ciò in quanto (a differenza di quanto ritenuto dal Tribunale, che aveva ritenuto l’eccezione di inadempimento invocabile solo in caso di totale inadempimento), per identità di ratio, era applicabile la giurisprudenza di legittimità in tema di riammissione in servizio dei lavoratori dopo l’accertamento della nullità del termine; dunque, sebbene la società avesse correttamente adibito il lavoratore a mansioni compatibili con le limitazioni rilevate da parte delle competenti strutture sanitarie, tuttavia essa non poteva, al momento della reintegrazione, disporre unilateralmente la trasformazione del rapporto di lavoro da tempo pieno, precedentemente in essere, a tempo parziale, in quanto la normativa in materia impone l’accordo del lavoratore e la forma scritta per detta trasformazione.

3. La società propone ricorso per cassazione avverso la suddetta sentenza, con 4 motivi, illustrati da memoria; resiste il lavoratore con controricorso.

4. Il P.G. ha concluso per il rigetto del ricorso.

1.Con il primo motivo, la società ricorrente deduce (articolo 360 c.p.c., n. 5) violazione e falsa applicazione dell’articolo 1460 c.c., per violazione in concreto dei criteri di equivalenza e di proporzionalità tra l’adempimento richiesto e quello non eseguito, nell’ottica del bilanciamento degli interessi in gioco e dei principi di correttezza e buona fede.

2. Il motivo non è fondato.

3. La Corte d’Appello si è conformata (richiamandola espressamente) alla consolidata giurisprudenza di legittimità in materia, che ha precisato (ad es. Cass. n. 11927/2013; v. anche Cass. n. 23595/2018, n. 11180/2019, n. 19579/2019) quando ricorre l’inadempimento del datore di lavoro rispetto all’ordine di reintegrazione, e quando si deve considerare legittima l’eccezione di inadempimento del lavoratore consistente nel non presentarsi a lavoro, nel senso che l’ottemperanza del datore di lavoro all’ordine giudiziale di riammissione in servizio implica il ripristino della posizione di lavoro del dipendente, il cui reinserimento nell’attività lavorativa deve quindi avvenire nel luogo precedente e nelle mansioni originarie, altrimenti configurandosi (salvo sufficienti ragioni tecniche, organizzative e produttive) una condotta datoriale illecita, che giustifica la mancata ottemperanza a tale provvedimento da parte del lavoratore, sia in attuazione di un’eccezione di inadempimento ai sensi dell’articolo 1460 c.c., sia sulla base del rilievo che gli atti nulli non producono effetti.

4. Con il secondo motivo, la società ricorrente deduce (articolo 360 c.p.c., n. 3) violazione e falsa applicazione dell’articolo 32 Cost., articolo 2087 c.c., Decreto Legislativo n. 81 del 2008, articoli 18 e 15, Decreto Legislativo n. 61 del 2000, articoli 2, 5 e 8; sostiene che è erroneo il giudizio di inadempimento della società rispetto all’ordine di reintegrazione, in quanto il lavoratore sarebbe stato riammesso con contratto di lavoro a tempo parziale invece che a tempo pieno al fine di tutelarne la salute alla luce delle indicazioni derivanti dagli accertamenti sanitari.

5. Il motivo non è fondato, anche perché involge in parte questioni di fatto, rimanendo così per tali aspetti assorbito dal rigetto del primo motivo.

6. Non risulta dagli atti una specifica indicazione sanitaria di trasformazione del rapporto di lavoro a tempo parziale, che invece è stata frutto di un’interpretazione datoriale di accertamenti sanitari riguardanti limitazioni funzionali. Né sono rilevanti le valutazioni sulle caratteristiche del clima di Tivoli al di fuori di un contesto medico tecnico.

7. La questione in diritto, esattamente individuata dalla Corte distrettuale, è l’unilaterale trasformazione del rapporto di lavoro da tempo pieno a tempo parziale, vietata dalla normativa in assenza di accordo delle parti risultante da atto scritto (Decreto Legislativo n. 81 del 2015, articoli 5 e 8 che hanno ripreso i principi di cui al Decreto Legislativo n. 61 del 2000, articoli 2, 5 e 8).

8. Dal complesso della normativa e dalla giurisprudenza richiamata con riferimento al primo motivo, in rapporto alla fattispecie concreta, si ricava il principio di diritto da applicare al caso in esame, secondo cui costituisce inadempimento all’ordine di reintegrazione nel posto di lavoro, cui il lavoratore può opporre eccezione di inadempimento ai sensi dell’articolo 1460 c.c., la trasformazione del rapporto di lavoro a tempo pieno in rapporto di lavoro a tempo parziale disposta unilateralmente dal datore di lavoro, senza accordo del lavoratore e senza pattuizione in forma scritta.

9. Con il terzo motivo di ricorso viene dedotta (articolo 360 c.p.c., n. 4) nullità della sentenza per violazione e falsa applicazione degli articoli 112, 414, 416, 420, 435 e 437 c.p.c., L. n. 300 del 1970, articolo 18 in quanto i giudici di merito, erroneamente, non avrebbero dichiarato inammissibile il motivo di reclamo con il quale il lavoratore aveva denunciato l’illegittima riduzione dell’orario di lavoro nella riammissione in servizio operata dal datore di lavoro, perché sollevato per la prima volta in sede di reclamo, con conseguente vizio di ultrapetizione.

10. Il motivo non è fondato.

11. La Corte romana ha chiarito (p. 8) che le doglianze del lavoratore erano chiare e specifiche, e relative all’inadempimento dell’ordine di reintegrazione, richiamando i documenti del fascicolo di parte, dai quali risultava la contestazione dell’illegittimità della reintegrazione per come disposta, con la nota di impugnazione del licenziamento e poi con la richiesta di tentativo di conciliazione.

12. Con il quarto motivo, parte ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione della L. n. 300 del 1970, articolo 18, comma 4, come modificato dalla L. n. 92 del 2012, articolo 1, comma 42; assume che la Corte territoriale avrebbe erroneamente ritenuto insussistente il fatto posto a fondamento del licenziamento per giusta causa, ossia il rifiuto di presentarsi in servizio.

13. Il motivo è infondato.

14. In tema di licenziamento individuale per giusta causa, l’insussistenza del fatto contestato, che rende applicabile la tutela reintegratoria ai sensi dell’articolo 18, comma 4, st. lav., come modificato dalla L. n. 92 del 2012, articolo 1, comma 42, lettera b), comprende anche l’ipotesi del fatto sussistente ma privo del carattere di illiceità (Cass. n. 3655/2019). Nello specifico, come spiegato da Cass. n. 19579/2019, in tema di licenziamento disciplinare, qualora il comportamento addebitato al lavoratore, consistente nel rifiuto di rendere la prestazione secondo determinate modalità, sia giustificato dall’accertata illegittimità dell’ordine datoriale e dia luogo pertanto a una legittima eccezione d’inadempimento, il fatto contestato deve ritenersi insussistente perché privo del carattere dell’illiceità, con conseguente applicazione della tutela reintegratoria attenuata, prevista dalla L. n. 300 del 1970, articolo 18, comma 4, come modificato dalla L. n. 92 del 2012.

15. Il ricorso deve pertanto, in conclusione, essere respinto.

16.Parte ricorrente deve, in ragione della soccombenza, essere condannata alla rifusione in favore di parte controricorrente delle spese del presente giudizio, liquidate come da dispositivo, da distrarsi in favore del difensore dichiaratosi antistatario.

17.Sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, previsto per l’impugnazione, ove dovuto.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.

Condanna parte ricorrente alla rifusione delle spese del presente giudizio, che liquida in Euro 5.000 per compensi, Euro 200 per esborsi, spese generali al 15%, accessori di legge, da distrarsi.

Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso articolo 13, comma 1 bis se dovuto.

Reintegrazione e illegittima modifica delle condizioni di lavoro
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