Licenziata la dipendente comunale che usufruisce dei permessi destinati all’assistenza alla madre disabile per frequentare le lezioni universitarie.

Nota a Cass. 13 settembre 2016, n. 17968  

Francesco Belmonte

I permessi disciplinati dall’art. 33, co. 3, L. 5 febbraio 1992, n. 104 (oggi fruibili anche dal convivente more uxorio in base alla sentenza Corte Cost. n. 213/2016) non hanno una funzione meramente compensativa o di ristoro delle energie impiegate dal lavoratore per l’assistenza prestata al familiare. La loro fruizione “deve porsi in nesso causale diretto con lo svolgimento di un’attività identificabile come prestazione di assistenza in favore del disabile per il quale il beneficio è riconosciuto.”

In caso contrario, l’uso improprio del permesso può integrare una grave violazione intenzionale degli obblighi gravanti sul prestatore, idonea a giustificare anche la sanzione del licenziamento.

Lo ha stabilito la Cassazione (13 settembre 2016, n. 17968) che, in conformità ai precedenti gradi di giudizio, ha ritenuto legittimo il licenziamento per giusta causa intimato ad una dipendente comunale a cui era stato contestato un utilizzo improprio dei  permessi (complessivamente 38 ore e 30 minuti, fruite di lunedì e mercoledì, dalle ore 11,00 alle ore 13,30/14,00) riservati all’assistenza alla madre disabile, in quanto gli stessi, unitamente a dei permessi studio (usufruiti di mercoledì), erano usati per recarsi all’università e frequentare le lezioni di un corso di laurea.

Come affermato anche dalla Corte territoriale, la sanzione irrogata era proporzionata ai fatti, tenuto conto dell’intenzionalità e della consapevolezza della condotta posta in essere dalla prestatrice. Ciò, in quanto il ricorso alternato alle due tipologie di permessi dimostrava la piena consapevolezza della lavoratrice di fare un uso improprio dei permessi previsti dalla L. n. 104/92, impiegati non per finalità assistenziali, ma per attività di proprio esclusivo interesse. Pertanto, simile fattispecie integrava l’ipotesi prevista dall’art. 3, co. 8, lett. f), ccnl 11 aprile 2008, Comparto Regioni ed Autonomie Locali, che sanziona le gravi violazioni intenzionali degli obblighi gravanti sul dipendente, anche nei confronti di terzi, “tali da non consentire la prosecuzione neppure provvisoria del rapporto di lavoro” ex art. 2119 c.c.

In linea con un precedente orientamento (Cass.12 maggio 2016, n. 9749; Cass.6 maggio 2016, n. 9217; Cass. 30 aprile 2015, n. 8784 e Cass. 4 marzo 2014, n. 4984), la Suprema Corte ha inoltre ritenuto che il comportamento della lavoratrice integra l’ipotesi dell’abuso di diritto, “giacchè tale condotta si palesa, nei confronti del datore di lavoro, come lesiva della buona fede, privandolo ingiustamente della prestazione lavorativa in violazione dell’affidamento riposto nel dipendente ed integra, nei confronti dell’Ente di previdenza erogatore del trattamento economico, un’indebita percezione dell’indennità ed uno sviamento dell’intervento assistenziale.”

“I permessi devono essere fruiti, dunque, in coerenza con la loro funzione. In difetto di tale nesso causale diretto tra assenza dal lavoro e prestazione di assistenza, devono ritenersi violati i principi di correttezza e buona fede sia nei confronti del datore di lavoro (che sopporta modifiche organizzative per esigenze di ordine generale) che dell’Ente assicurativo.”

I giudici, inoltre, si sono pronunziati a favore della sanzione espulsiva (per giusta causa), valorizzando, ai fini della valutazione della gravità della condotta, il carattere sistematico e la preordinazione nell’utilizzo improprio dei permessi (in quanto la lavoratrice aveva avanzato una richiesta di frazionamento dei permessi stessi strumentale al soddisfacimento di esigenze personali e prive di qualsiasi nesso con la prestazione di assistenza), elementi, questi, anche sintomatici dell’intensità dell’elemento psicologico, nonché il disvalore sociale della condotta, insito nello sviamento dalla funzione di assistenza del familiare ed il carattere continuativo dell’uso indebito, privo di qualsiasi connotazione di eccezionalità o occasionalità.

L’utilizzo distorto dei permessi ex art. 33, co. 3, L. n. 104/92 legittima il licenziamento.
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