Il licenziamento del lavoratore che, in luogo di assumere servizio nell’unità produttiva in cui sia trasferito, offra la sua prestazione nel luogo in cui la svolgeva in precedenza, ricevendo un rifiuto a riceverla, è illegittimo.

Nota a Cass. 25 settembre 2018, n. 22656

Maria Novella Bettini

Il comportamento della dipendente che rifiuti di prendere servizio in una nuova sede esercitando l’eccezione di inadempimento ai sensi dell’art. 1460 c.c., e, dunque, continuando ad offrire la propria prestazione presso la sede aziendale originaria, è legittimo; mentre, il conseguente licenziamento, palesemente adottato per reazione al suddetto rifiuto, è illecito.

Il rilevante principio è affermato dalla Corte di Cassazione (25 settembre 2018, n. 22656), secondo cui, in caso di trasferimento privo di giusta causa, “il rifiuto di assumere servizio presso la sede di destinazione deve essere proporzionato all’inadempimento datoriale ai sensi dell’art. 1460, co.2 c.c. sicché lo stesso deve essere accompagnato da una seria ed effettiva disponibilità a prestare servizio presso la sede originaria” (così, Cass. n. 29054/2017).

Pertanto, il Collegio ha ritenuto congrua la motivazione del giudice di merito (App. Lecce 23 febbraio-6 settembre 2011, n. 104) che aveva considerato illegittimo il licenziamento adottato nei confronti di una lavoratrice che si era rifiuta di prendere servizio presso una nuova sede di lavoro sita in una località molto lontana dalla precedente sede, continuando ad offrire la propria prestazione presso la sede originaria. Il parziale rifiuto di adempimento è stato infatti giustificato dalla “gravità dell’inadempimento posto in essere dal datore di lavoro, consistito nell’aver assegnato alla dipendente una nuova sede così distante da quella originaria da costringerla necessariamente ad un cambiamento di abitazione, omettendo oltretutto, illegittimamente, di concedere il prescritto preavviso”.

Ciò, in senso difforme dalla più recente evoluzione giurisprudenziale sul punto, secondo cui nell’ipotesi di trasferimento adottato in violazione dell’art. 2103 c.c., l’inadempimento datoriale non legittima in via automatica il rifiuto del lavoratore ad eseguire la prestazione lavorativa poiché, trattandosi di un contratto a prestazioni corrispettive, si applica l’art. 1460, co.2, c.c. “alla stregua del quale la parte inadempiente può rifiutarsi di eseguire la prestazione a proprio carico solo ove tale rifiuto, avuto riguardo alle circostanze concrete, non risulti contrario alla buona fede” (v. Cass. 11 maggio 2018, n. 11408, in questo sito, con nota di M. N. BETTINI, Trasferimento illegittimo e rifiuto di adempiere), per la quale Il trasferimento ad altra sede lavorativa, disposto dal datore di lavoro in assenza di comprovate ragioni tecniche, organizzative e produttive, non giustifica in via automatica il rifiuto del lavoratore all’osservanza del provvedimento e, quindi, la sospensione della prestazione lavorativa.

Nel caso oggetto della sentenza in esame, invece, i giudici hanno accertato: a) la nullità del trasferimento, stante la lontananza della sede; b) la legittimità dell’esercizio di autotutela da parte della lavoratrice, “tempestiva e non connessa ad un’impugnazione giudiziale proprio per la necessità di non aggravare ulteriormente la lesione già subita”; c) l’illegittimità del licenziamento “in quanto palesemente adottato per reazione del rifiuto opposto dalla lavoratrice alla sua riammissione in servizio subordinata però ad un trasferimento presso altro ufficio del tutto ingiustificato e, quindi, giudicato anch’esso nullo”.

Rifiuto di accettare il trasferimento e licenziamento illegittimo
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