Il licenziamento comprende qualsiasi cessazione del contratto di lavoro non voluta dal lavoratore. In caso di licenziamento collettivo determinato da modifiche unilaterali di elementi essenziali del contratto di lavoro, la mancata attivazione della procedura sindacale integra gli estremi del comportamento antisindacale.

Nota ad App. Milano 5 luglio 2021

Daniele Magris

Le risoluzioni consensuali di alcuni rapporti di lavoro conseguenti alla prospettazione di un trasferimento collettivo sono qualificabili come licenziamenti ai sensi della L. n. 223/1991. La mancata attivazione della procedura sindacale è pertanto antisindacale.

Lo afferma la Corte di appello di Milano (5 luglio 2021) secondo cui “nel numero minimo di cinque licenziamenti, considerato come sufficiente ad integrare l’ipotesi del licenziamento collettivo, deve rientrare – dovendosi considerare integrale la nozione di licenziamento – anche il fatto che un datore di lavoro proceda, unilateralmente e a svantaggio del lavoratore, ad una modifica sostanziale degli elementi essenziali del contratto di lavoro per ragioni non inerenti alla persona del lavoratore stesso, da cui consegua la cessazione del contratto di lavoro, anche su richiesta dal lavoratore medesimo”.

Ciò, in linea con l’orientamento della Corte di Giustizia UE 11 novembre 2015, C-422/14, p.fi da 50 a 54, alla luce di una corretta interpretazione dell’art. 1, par. 1, co. 1, lett. a), della Direttiva 98/59/CE (concernente il riavvicinamento delle legislazioni degli Stati membri in materia di licenziamenti collettivi).

Resta così superata la precedente interpretazione della L. n. 223/1991, art. 24, in base alla quale il termine licenziamento doveva essere inteso in senso tecnico, “senza potere ad esso parificare qualunque altro tipo di cessazione del rapporto determinata (anche o soltanto) da una scelta del lavoratore, come nelle ipotesi di dimissioni, risoluzioni concordate, o prepensionamenti, anche ove tali forme di cessazione del rapporto fossero riconducibili alla medesima operazione di riduzione delle eccedenze della forza lavoro giustificante il ricorso ai licenziamenti” (v. Cass. n. 15118/2021, in q. sito con nota di M.N. BETTINI e P. PIZZUTI; Cass. n. 15401//2020, in q. sito con nota di P. PIZZUTI e Cass. n. 7519/2010).

In sintesi, dunque, secondo il più recente indirizzo, il licenziamento comprende qualsiasi cessazione del contratto di lavoro non voluta dal lavoratore e, quindi, senza il suo consenso.

Nel caso di specie il datore di lavoro aveva imposto unilateralmente una riduzione della retribuzione fissa per ragioni di ordine economico e produttivo. Di qui, a fronte della mancata accettazione da parte delle persone interessate, la risoluzione del contratto di lavoro accompagnata dal versamento di un’indennità, calcolata sulla stessa base di quelle dovute in caso di licenziamento illegittimo; nonché, trattandosi di riduzione del personale, l’obbligo, per l’azienda, di attivare le procedure di informazione e consultazione sindacale previste dagli artt. 4 e 24 della L. n. 223/1991, la cui mancata attivazione ha configurato una condotta antisindacale.

Risoluzioni consensuali, licenziamenti collettivi e condotta antisindacale
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