L’isolamento e la sottoutilizzazione del lavoratore sono risarcibili a titolo di straining
Nota a Cass. 15 novembre 2022, n. 33639
Alfonso Tagliamonte
Anche laddove si escluda l’esistenza “di una macchinazione dolosa finalizzata all’emarginazione del lavoratore nel proprio ambiente di lavoro, nondimeno ciò non elide affatto la responsabilità del datore di lavoro per i danni alla persona subiti dal lavoratore a causa di un inadempimento degli obblighi datoriali” in tema di tutela della salute nei luoghi di lavoro anche a titolo di mera colpa. Sono pertanto risarcibili i danni non patrimoniali subiti dal lavoratore a causa dello straining attuato dal datore di lavoro, quale forma attenuata di mobbing, nella quale, pur in assenza di continuità delle azioni vessatorie, venga determinata, con efficienza causale, una situazione di stress lavorativo causa di gravi disturbi psico-somatici o anche psico-fisici o psichici.
Inoltre, “ai fini dell’accertamento del danno differenziale, è sufficiente che siano dedotte in fatto dal lavoratore circostanze che possano integrare gli estremi di un reato perseguibile d’ufficio… Anche la violazione delle regole di cui all’art. 2087 c.c., norma di cautela avente carattere generale, è idonea a concretare la responsabilità penale” (Corte Cost. n. 74/1981; Cass. n. 9166/2017 e Cass. n. 1579/2000).
Questi i principi ribaditi dalla Corte di Cassazione (15 novembre 2022, n. 33639, diff. da App. Palermo n. 725/2016), la quale sintetizza l’orientamento giurisprudenziale in tema di mobbing e straining.
La Corte precisa che il mobbing e lo straining hanno natura medico-legale e non rivestono autonoma rilevanza ai fini giuridici, ma sono utili, nella sostanza, per identificare condotte che contrastino con l’art. 2087 c.c. e con la normativa in materia di tutela della salute negli ambienti di lavoro (v. Cass. 32257/2019, n. 3977/2018, in q. sito con nota di P. PIZZUTI e n. 3291/2016, annotata in q. sito da F. ALBINIANO).
Come più volte evidenziato da giudici di legittimità, i tratti individualizzanti del mobbing sono: “a) una serie di comportamenti di carattere persecutorio – illeciti o anche leciti se considerati singolarmente – che, con intento vessatorio, siano posti in essere contro la vittima in modo miratamente sistematico e prolungato nel tempo, direttamente da parte del datore di lavoro o di un suo preposto o anche da parte di altri dipendenti, sottoposti al potere direttivo dei primi; b) l’evento lesivo della salute, della personalità o della dignità del dipendente; c) il nesso eziologico tra le descritte condotte e il pregiudizio subito dalla vittima nella propria integrità psico-fisica e/o nella propria dignità; d) l’elemento soggettivo, cioè l’intento persecutorio unificante di tutti i comportamenti lesivi” (tra le tante: Cass. n. 24883/2019; Cass. n. 12437/2018 e Corte Cost. n. 359/2003). Dal momento che “in quanto la concreta connotazione intenzionale colora in senso illecito anche condotte altrimenti astrattamente legittime” (così, Cass. n. 16580/2022), l’elemento qualificante della fattispecie va ricercato nell’intento persecutorio che avvince la pluralità delle condotte pregiudizievoli attuate nei confronti della vittima, a prescindere dalla legittimità o illegittimità dei singoli atti (v. Cass. n. 26684/2017).
Anche però laddove non si riscontri il carattere della continuità e della pluralità delle azioni vessatorie (Cass. ord. n. 18164/2018, annotata in q. sito da M. BONI) o le stesse siano comunque limitate nel numero (Cass. n. 7844/ 2018, in q. sito con nota di P. PIZZUTI) può comunque giustificarsi la pretesa risarcitoria ex art. 2087 c.c. nel caso in cui si accerti che le condotte datoriali inadempienti risultino comunque produttive di danno all’integrità psico-fisica del lavoratore
Rientra in questa categoria il c.d. straining: “una forma attenuata di mobbing, nella quale non si riscontra la continuità delle azioni vessatorie, in quanto la condotta nociva può realizzarsi anche con una unica azione isolata o, comunque, con più azioni prive di continuità che determinino, con efficienza causale, una situazione di stress lavorativo causa di gravi disturbi psico-somatici o anche psico-fisici o psichici” (v. Cass. n. 3291/2016, cit., ma v. anche Cass. n. 2433/2022, che non ha ravvisato ragioni di responsabilità in un caso di divergenza interpersonale sul luogo di lavoro che non configuri, come tale, una situazione di nocività dell’ambiente lavorativo; Cass. n. 2676/ 2021 – che ha escluso straining in presenza di “situazioni di amarezza” causate dal cambio di posizione lavorativa per processi di riorganizzazione e ristrutturazione che abbiano coinvolto l’intera azienda).
È perciò compito del datore di lavoro operare la valutazione di “tutti i rischi per la sicurezza e la salute dei lavoratori, ivi compresi quelli riguardanti gruppi di lavoratori esposti a rischi particolari, tra cui anche quelli collegati allo stress lavoro-correlato”. Ciò, secondo i contenuti dell’Accordo europeo 8 ottobre 2004 sullo stress da lavoro, definito come uno “stato, che si accompagna a malessere e disfunzioni fisiche, psicologiche o sociali” che, in caso di “esposizione prolungata”, può “causare problemi di salute” (par. 3) e che, pertanto, investe la “responsabilità dei datori di lavoro … obbligati per legge a tutelare la sicurezza e la salute dei lavoratori (par. 5)”.
Si configura perciò una responsabilità datoriale ex art. 2087 c.c., a fronte di un mero inadempimento anche solo per colpa, che si ponga in nesso causale con un danno alla salute e ciò secondo le regole generali sugli obblighi risarcitori conseguenti a responsabilità contrattuale (artt. 1218 e 1223 c.c.); esula invece dal campo della responsabilità l’ipotesi in cui “i pregiudizi derivino dalla qualità intrinsecamente ed inevitabilmente usurante della ordinaria prestazione lavorativa o tutto si riduca a meri disagi o lesioni di interessi privi di qualsiasi consistenza e gravità, come tali non risarcibili” (in termini, Cass. n. 15159/2019; v. anche Cass. n. 16580/2022).