La retribuzione deve sempre rispettare i criteri normativi di “proporzionalità” e “sufficienza”.

Nota a Trib. Bari 13 ottobre 2023, n. 2720 

Fabrizio Girolami

L’articolo 36, co. 1, Cost. prevede il diritto del lavoratore a percepire una retribuzione “proporzionata” alla quantità e qualità del suo lavoro e in ogni caso “sufficiente” ad assicurare a sé e alla famiglia un’esistenza libera e dignitosa (c.d. principio della “giusta retribuzione”). In applicazione di tale principio, il giudice di merito ha la possibilità di “disapplicare” il trattamento insufficiente applicato nei singoli casi, anche se corrispondente a un contratto collettivo nazionale e sottoscritto dai sindacati maggiormente rappresentativi. Al posto del trattamento insufficiente, va garantito un trattamento congruo ex art. 36 Cost. corrispondente a un contratto collettivo di settore analogo o per mansioni simili, oppure determinato in base ad altri criteri.

  1. Lo ha affermato il Tribunale di Bari 13 ottobre 2023, n. 2720  con riferimento a una controversia instaurata da un lavoratore in servizio a tempo pieno e indeterminato presso una società cooperativa, con mansioni di addetto all’attività di custodia e sorveglianza presso i vari clienti ubicati in Bari e provincia e inquadramento nel livello D del c.c.n.l. per i dipendenti di istituti e imprese di vigilanza privata servizi fiduciari. Il lavoratore aveva adito il Tribunale di Bari chiedendo di accertare e dichiarare la nullità e/o illegittimità dell’art. 23 c.c.n.l. per i dipendenti da istituti e imprese di vigilanza privata per contrarietà al principio della “giusta retribuzione” di cui all’art. 36 Cost. e, per l’effetto, l’accertamento del diritto a percepire un trattamento salariale non inferiore a quello previsto (in alternativa fra loro) dal c.c.n.l. Commercio Terziario, dal c.c.n.l. Multiservizi, dal c.c.n.l. Proprietari di Fabbricati, o, ancora, diversamente determinato in via equitativa, nonché la condanna della società al pagamento delle conseguenti differenze retributive.

Il Tribunale ha accolto il ricorso, ritenendo la retribuzione corrisposta al lavoratore nel corso del rapporto di lavoro “incompatibile” con il precetto dell'art. 36 Cost. In particolare, secondo il giudice barese:

  • il principio sancito dall’art. 36 Cost.  costituisce “un fondamentale punto di riferimento non solo per il legislatore, ma anche per la contrattazione collettiva ed un indubbio limite alla facoltà di determinazione del trattamento retributivo da parte di quest'ultima”;
  • la proporzionalità e la sufficienza a cui fa riferimento la norma costituzionale sono “concetti autonomi e ben distinti dalla volontà delle parti sociali che si esprime nella contrattazione collettiva”;
  • invero, non può escludersi “a priori” che il trattamento retributivo determinato dalla contrattazione collettiva, ancorché sottoscritta da sindacati maggiormente rappresentativi, potrebbe risultare in concreto “lesivo del principio di proporzionalità alla quantità e qualità del lavoro di cui deve costituire il corrispettivo e/o di sufficienza ad assicurare al lavoratore ed alla sua famiglia un'esistenza libera e dignitosa”;
  • la Corte di Cassazione, con la recente sentenza 2 ottobre 2023, n. 27711 (in q. sito con nota di MN. BETTINI e F. DURVAL), ha affermato che “nell’attuazione dell’art. 36 della Cost. il Giudice, in via preliminare, deve fare riferimento, quali parametri di commisurazione, alla retribuzione stabilita dalla contrattazione collettiva nazionale di categoria, dalla quale può motivatamente discostarsi, anche ex officio, quando la stessa entri in contrasto con i criteri normativi di proporzionalità e sufficienza della retribuzione dettati dall’art. 36 Cost., anche se il rinvio alla contrattazione collettiva applicabile al caso concreto sia contemplato in una legge, di cui il giudice è tenuto a dare una interpretazione costituzionalmente orientata”;
  • ai fini della determinazione del “giusto salario minimo costituzionale” il giudice può servirsi “a fini parametrici del trattamento retributivo stabilito in altri contratti collettivi di settori affini e per mansioni analoghe”, facendo altresì riferimento, all’occorrenza “ad indicatori economici e statistici”;
  • il lavoratore può chiedere la disapplicazione di un trattamento retributivo collettivo per ritenuta inosservanza dei minimi costituzionali, fornendo “utili elementi di giudizio indicando i parametri di raffronto, dovendo in mancanza presumersi adeguata e sufficiente la retribuzione corrisposta nella misura prevista in relazione alle mansioni esercitate dal contratto collettivo del settore”;
  • nel caso di specie, tenuto conto delle mansioni svolte dal lavoratore (attività di custodia e sorveglianza), va riconosciuto il diritto del ricorrente a percepire un trattamento retributivo corrispondente a quello di un lavoratore inquadrato nel livello D1 del c.c.n.l. per i dipendenti da Proprietari di Fabbricati che appare conforme al precetto ex art. 36, co. 1, Cost. “anche alla luce degli importi previsti dal legislatore per il beneficio assistenziale del reddito di cittadinanza, un parametro, oltre che coerente, congruo e ragionevole ai fini di determinare una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del lavoro prestato dal ricorrente e sufficiente a garantire un’esistenza libera e dignitosa”.

Sentenza

Giusto salario minimo costituzionale e disapplicazione del contratto collettivo non conforme
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