Il licenziamento è legittimo se la prestazione ad orario ridotto non è più utile per l’azienda.

Nota a Cass. ord. 23 ottobre 2023, n. 29337

Francesco Belmonte

Sebbene l’art. 8, co. 1, D.LGS. n. 81/2015, preveda che “il rifiuto del lavoratore di trasformare il proprio rapporto di lavoro a tempo pieno in rapporto a tempo parziale, o viceversa, non costituisce giustificato motivo di licenziamento”, non può essere preclusa la facoltà di recesso per giustificato motivo oggettivo del datore di lavoro, qualora la prestazione a tempo parziale diventi inutilizzabile da parte dell’azienda.

In tale linea si è pronunciata la Corte di Cassazione (ord. 23 ottobre 2023, n. 29337) in relazione al licenziamento di una lavoratrice a tempo parziale che aveva rifiutato la proposta della società datrice di trasformare il rapporto di lavoro da part-time a full-time.

Per la Cassazione, diversamente dalla Corte d’Appello di Milano (n. 1494/2021), la peculiare tutela riservata dalla legge al part-timer di rifiutare la variazione dell’orario di lavoro, senza temere ritorsioni, quale il licenziamento, non è “assoluta”, nel senso che non può inibire la facoltà risolutiva del datore di lavoro nell’ipotesi in cui l’utilizzazione della prestazione part-time non sia più utile per l’azienda.

In tale evenienza, come rilevano i giudici, grava sul datore di lavoro un onere probatorio ampliato. In particolare, egli deve dimostrare: 1) la sussistenza e l’effettività delle esigenze economiche ed organizzative tali da non consentire il mantenimento della prestazione a tempo parziale, ma solo con l’orario differente richiesto; 2) l’avvenuta proposta al dipendente di trasformazione del rapporto di lavoro a tempo pieno ed il relativo rifiuto; 3) l’assenza di alternative organizzative al licenziamento; 4) l’esistenza di un nesso causale tra le esigenze di aumento dell’orario ed il licenziamento (v. Cass. n. 21875/2015; Cass. n. 6229/2007).

Come si vede, il rifiuto della trasformazione del rapporto di lavoro part-time, così come articolato, diventa “una componente del più ampio onere della prova del datore che comprende le ragioni economiche da cui deriva la impossibilità di continuare ad utilizzare la prestazione a tempo parziale e l’offerta del full-time rifiutata” (Cass. n. 12244/2023, in q. sito, con nota di F. DURVAL).

Sentenza  

CORTE DI CASSAZIONE 23 OTTOBRE 2023, n. 29337

Rilevato che:

1.Nella gravata sentenza della Corte di appello di Milano si legge che M.M.A., dipendente della società SE.A.S. Consulting srl sin dal 3.4.2017, part time orizzontale venti ore settimanali e qualifica di impiegata amministrativa di 2 livello del CCNL Terziario, dopo avere rifiutato nel mese di settembre 2019 la proposta della società di trasformare il rapporto di lavoro da part time a full time e dopo avere istruito il neo assunto (full time) F.A., era stata licenziata per soppressione della sua posizione lavorativa.

2. Impugnato il recesso, considerato privo di giustificato motivo oggettivo (in quanto l’incremento dell’attività non giustificava la soppressione del posto di lavoro con contestuale assunzione di altro lavoratore full time con analoghe mansioni) e perché ritorsivo, l’adito Tribunale di Milano ha respinto la domanda della lavoratrice ritenendo provate le ragioni della società poste a fondamento del licenziamento.

3. La Corte di appello di Milano, in riforma della pronuncia di primo grado, ha dichiarato la nullità del recesso e ha condannato la SE.A.S. Consulting srl alla reintegrazione nel posto di lavoro e al pagamento di una indennità risarcitoria commisurata all’ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del TFR dal licenziamento all’effettiva reintegrazione, nonché al versamento dei contributi previdenziali ed assistenziali.

4. I giudici di seconde cure hanno rilevato, in sintesi, che, premesso che ai sensi del D.Lgs. n. 81 del 2015, art. 8, comma 1 “il rifiuto del lavoratore di trasformare il proprio rapporto di lavoro a tempo pieno in rapporto a tempo parziale, o viceversa, non costituisce giustificato motivo di licenziamento”, era stata pretestuosa la prospettazione di una riorganizzazione aziendale attraverso l’assunzione full time di una nuova figura contabile (dichiaratamente destinata a sostituire la M.) per fronteggiare un incremento dell’attività lavorativa e che, comunque, non era stata dimostrata l’impossibilità per la società di ripartire tra le due contabili un pacchetto complessivo di clienti o la difficoltà a reperire in tempi brevi una risorsa part time né era stata provata l’effettiva ineluttibilità del licenziamento della lavoratrice come conseguenza necessaria della addotta riorganizzazione; inoltre, hanno ritenuto il licenziamento, oltre che illegittimo, anche ritorsivo in quanto esso non presentava altra spiegazione che il collegamento causale con il rifiuto opposto dalla M. alla trasformazione del rapporto in full time; da qui hanno applicato la tutela reintegratoria e risarcitoria prevista in ipotesi di accertata nullità del recesso.

5. Avverso la pronuncia di secondo grado ha proposto ricorso per cassazione la SE.A.S. Consulting srl affidato a tre motivi cui ha resistito con controricorso M.M.A.

6. Le parti hanno depositato memorie.

7. Il Collegio si è riservato il deposito dell’ordinanza nei termini di legge ex art. 380 bis 1 c.p.c.

Considerato che:

8. I motivi possono essere così sintetizzati.

9. Con il primo motivo la ricorrente denuncia, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e/o falsa applicazione della L. n. 604 del 1966, art. 3, L. n. 183 del 2010, art. 30, comma 1 e art. 41 Cost., in rapporto all’art. 115 c.p.c., per avere erroneamente la Corte territoriale escluso la sussistenza del giustificato motivo di licenziamento della lavoratrice assunta con orario part time affermando la pretestuosità del riassetto organizzativo adottato dalla datrice di lavoro. Deduce che la gravata pronuncia non era rispettosa dei principi di legittimità in tema di limiti al sindacato giudiziale delle decisioni organizzative assunte dall’imprenditore e da questi poste in relazione di causalità con il provvedimento espulsivo del dipendente: in particolare, nella parte in cui era stato ritenuto che la riorganizzazione posta concretamente in essere per fronteggiare la non contingente situazione di insufficienza delle risorse in essere a gestire l’incremento del carico di attività, e posta a base del licenziamento, fosse pretestuosa e non effettiva, così eccedendo dai limiti del sindacato riservato al giudice.

10. Con il secondo motivo si censura, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3., la violazione e /o falsa applicazione della L. n. 300 del 1970, art. 18, comma 1 come novellato dalla L. n. 92 del 2012, dell’art. 1345 c.c., del D.Lgs. n. 81 del 2015, art. 8 in rapporto alla clausola n. 5, punto 2, dell’accordo quadro 6/6/1997 allegato alla direttiva 97/81/CE, nonché dell’art. 2697 c.c., artt. 115 e 116 c.p.c., per avere erroneamente ritenuto la Corte distrettuale il licenziamento di natura ritorsiva, in quanto determinato dal rifiuto della lavoratrice alla proposta di trasformazione del rapporto in full time, non considerando che il motivo illecito ex art. 1345 c.c. per tale tipo di licenziamento deve essere “unico e determinate” mentre, nel caso in esame, era stata già rilevata l’assenza di una legittima giustificazione della scelta datoriale, così facendo coincidere la prova della ritorsività con le medesime circostanze valorizzate per dichiarare l’illegittimità del motivo oggettivo addotto.

11. Con il terzo motivo la ricorrente si duole, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, dell’omesso esame di fatti decisivi per il giudizio, oggetto di discussione tra le parti, costituiti dalle seguenti circostanze: a) la lavoratrice, a fronte della richiesta di incremento dell’orario di lavoro da venti a quaranta o trentasei ore settimanali, poi rifiutata, si era comunque dichiarata disponibile a svolgere al massimo e sporadicamente qualche ora di lavoro supplementare, per dedicarsi esclusivamente ai suoi clienti già assegnati; b) l’altra dipendente contabile della società era stata assunta, al momento dei fatti, con contratto di lavoro part time al 90%. Le suddette circostanze, secondo la società, qualora fossero state opportunamente valutate, avrebbero sicuramente escluso la conclusione della Corte di merito circa la possibilità di ripartire tra i dipendenti in forza il carico di lavoro supplementare collegato all’assunzione di nuova clientela.

12. I tre motivi, da esaminare congiuntamente per la loro interferenza, sono fondati.

13. È opportuno, però, preliminarmente delineare il perimetro dogmatico-giurisprudenziale entro il quale deve essere inquadrato l’istituto del licenziamento per giustificato motivo oggettivo riferito ad un lavoratore part time.

14. Come correttamente indicato dalla Corte territoriale, la norma fondamentale, da tenere in considerazione, in relazione alla tipologia del rapporto di lavoro della M. – dipendente dal 3.4.2017 della SE.A.S. srl, part time orizzontale (20 ore settimanali) e qualifica di impiegata di 2 livello del CCNL Terziario, che nel settembre del 2019 aveva rifiutato la proposta della società di trasformare il rapporto di lavoro da part time a full time e che, dopo avere istruito il neo assunto full time (tale F.A.), era stata licenziata per soppressione della posizione lavorativa – è il D.Lgs. n. 81 del 2015, art. 8, comma 1 ratione temporis applicabile, secondo cui “il rifiuto del lavoratore di trasformare il proprio rapporto di lavoro a tempo pieno in rapporto a tempo parziale, o viceversa, non costituisce giustificato motivo di licenziamento”.

15. Orbene, e” stato precisato, in sede di legittimità, che la previsione di tale disposizione non preclude la facoltà di recesso per motivo oggettivo in caso di rifiuto del part time (o viceversa del full time), ma comporta una rimodulazione del giustificato motivo oggettivo e dell’onere della prova posto a carico di parte datoriale (Cass. n. 12244/2023).

16. In tal caso, ai fini del giustificato motivo oggettivo, occorre che sussistano o siano dimostrate dal datore di lavoro effettive esigenze economiche ed organizzative tali da non consentire il mantenimento della prestazione a tempo pieno (o parziale come nel caso in esame), ma solo con l’orario differente richiesto; l’avvenuta proposta al dipendente o ai dipendenti di trasformazione del rapporto di lavoro a tempo parziale ed il rifiuto dei medesimi; l’esistenza di un nesso causale tra le esigenze di riduzione (o aumento) dell’orario ed il licenziamento (Cass. n. 21875/2015; Cass. n. 6229/2007).

17. Il rifiuto della trasformazione del rapporto di lavoro part time, come articolato, diventa pertanto una componente del più ampio onere della prova del datore che comprende le ragioni economiche da cui deriva la impossibilità di continuare ad utilizzare la prestazione a tempo parziale e l’offerta del full time rifiutata (in termini sempre Cass. n. 12244/2023).

18. Ciò perché il licenziamento non deve essere intimato a causa del rifiuto ma a causa della impossibilità di utilizzo della prestazione a tempo parziale e del rifiuto di trasformazione del rapporto in full time.

19. E’ necessaria, dunque, non solo la prova della effettività delle ragioni addotte per il cambiamento dell’orario (Cass. n. 15400/2020) ma anche quella della impossibilità dell’utilizzo altrimenti della prestazione con modalità orarie differenti, quale componente/elemento costitutivo del giustificato motivo oggettivo, ferma naturalmente la insindacabilità della scelta imprenditoriale nei suoi profili di congruità ed opportunità, in ossequio al disposto dell’art. 41 Cost..

20. E’ stato anche sottolineato che non può escludersi che, in linea generale, il licenziamento possa costituire una ritorsione rispetto al rifiuto di trasformazione del nuovo orario di lavoro offerto.

21. Ma perché si possa affermare la nullità del licenziamento, occorre che l’intento ritorsivo datoriale abbia avuto efficacia determinante esclusiva, anche rispetto ad altri fatti rilevanti ai fini della configurazione di una giusta causa o di un giustificato motivo di recesso (Cass. n. 14816/2005; Cass. n. 3986/2015; Cass. n. 9468/2019), con onere probatorio che ricade sul lavoratore e che può essere assunto anche mediante presunzioni (Cass. n. 6838/2023; Cass. n. 23583/2019; Cass. n. 9468/2019; Cass. n. 26035/2018; Cass. n. 20742/2018). La mancata prova dell’esistenza del giustificato motivo di recesso addotto da parte datoriale, che è di per sé causa di illegittimità del recesso, può costituire indizio del carattere ritorsivo del licenziamento.

22. La valutazione, nella concretezza della vicenda storica, dell’esistenza di un motivo ritorsivo, unico e determinante, a base del licenziamento, costituisce una quaestio facti, come tale devoluta all’apprezzamento dei giudici del merito, con un accertamento in fatto non suscettibile di riesame innanzi a questa Corte di legittimità (Cass. n. 6883/2023; Cass. n. 26399/2022).

23. Venendo, quindi, allo scrutinio delle doglianze di cui ai tre motivi, va osservato che la Corte territoriale, nella verifica della legittimità dell’intimato licenziamento (che era stato adottato per fare fronte ad una effettiva necessità di riorganizzazione della società legata ad un incremento stabile della clientela, non contestato e pacificamente confermato dalle parti, che aveva determinato, in via indiretta e mediata, la soppressione del posto lavorativo della M.), non si è attenuta ai principi sopra esposti.

24. In primo luogo, infatti, deve evidenziarsi che la Corte di appello, sul presupposto che l’incremento lavorativo determinato dall’acquisizione dei tre nuovi clienti fosse stato, invece, di sole sei ore settimanali, ha specificato che non era necessario né prospettare alla M. di raddoppiare le ore di lavoro da venti a quaranta né di assumere una nuova risorsa full time in sostituzione dell’odierna controricorrente part time; ha precisato, ancora, la Corte distrettuale che del tutto indimostrata era stata l’impossibilità per la società di ripartire tra le due contabili, già in servizio, un pacchetto complessivo di clienti o la difficoltà di reperire in breve tempo una risorsa part time e che, in ogni caso, non era stata dimostrata l’effettiva ineluttabilità del licenziamento.

25. Nell’operare tale analisi, però, la Corte di Milano effettivamente non ha considerato, in debito conto, due circostanze decisive risultanti dalla stessa sentenza oggi impugnata (pag. 3 del provvedimento) e, cioè, che l’altra dipendente contabile in servizio, al momento dei fatti, era stata assunta con un contratto di lavoro part time al 90%, per trentasei ore settimanali, e che la M., a fronte della richiesta di un incremento dell’orario di lavoro, aveva rifiutato l’offerta, dichiarandosi disponibile a svolgere al massimo qualche ora di lavoro supplementare.

26. In tale contesto, la Corte di appello non ha, quindi, rilevato che, anche considerando un incremento settimanale di sole sei ore aggiuntive, queste non potevano essere tutte assegnate all’altra contabile, che altrimenti avrebbe svolto un orario di lavoro di quarantadue ore settimanali, a fronte del massimo di quaranta, e che le restanti due ore non avrebbero potuto essere assegnate alla M. che si era dichiarata solo sporadicamente (e quindi senza alcun vincolo giuridico) disponibile a svolgere qualche ora in più ma solo per i clienti a lei già assegnati, costituendo ciò, pertanto, un elemento ostativo all’assegnazione anche di sole due ore oltre quelle di cui al part time in atto.

27. Dallo stesso ragionamento della Corte di merito risulta, quindi, contraddetta la ritenuta impossibilità di ripartire tra le due contabili il nuovo pacchetto complessivo i clienti.

28. In secondo luogo, la Corte di merito ha valorizzato esclusivamente il profilo delle ore di lavoro oggetto, a suo parere, dell’incremento dell’attività lavorativa sindacando l’opzione del datore di lavoro di assumere una nuova risorsa full time (in sostituzione della M. part time) e così violando il disposto della L. n. 604 del 1966, art. 3,L. n. 183 del 2010, art. 30, comma 1 e art. 41 Cost., mentre avrebbe dovuto incentrare la sua indagine sulla verifica della impossibilità di utilizzo altrimenti della prestazione lavorativa della lavoratrice part time, ponendo il relativo onere probatorio a carico del datore di lavoro, trattandosi di componente/elemento costitutivo del giustificato motivo oggettivo.

29. In altri termini, la Corte di appello non avrebbe dovuto sindacare la scelta imprenditoriale di sostituire il dipendente part time con uno full time, ma avrebbe dovuto verificare (ed adeguatamente motivare) se il datore di lavoro avesse dimostrato che quella era l’unica soluzione organizzativa possibile per fare fronte al nuovo andamento economico dell’azienda, in una situazione in cui il recesso di un lavoratore part time, che si sia rifiutato di modificare il proprio orario di lavoro, si manifesta appunto quale extrema ratio di soluzione del problema organizzativo.

30. In terzo ed ultimo luogo, i giudici di seconde cure devono conseguentemente accertare – all’esito della indagine sopra delineata – se effettivamente sia ravvisabile un intento ritorsivo con efficacia determinante esclusiva, anche rispetto ad altri fatti evincibili da tutta la vicenda e non solo considerando l’evento, come causa determinante, del rifiuto opposto dalla dipendente alla trasformazione del rapporto di lavoro in full time, quale collegamento causale con il recesso.

31. Nei termini di cui sopra le censure della ricorrente in relazione agli scrutinati motivi possono, pertanto, essere accolte.

32. Dell’impugnata sentenza s’impone la cassazione, con rinvio alla Corte d’Appello di Milano, che in diversa composizione procederà a nuovo esame, considerando i principi di diritto sopra indicati e i suindicati decisivi fatti omessi.

33. Il giudice del rinvio provvederà anche in ordine alle spese del giudizio di cassazione.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso; cassa l’impugnata sentenza e rinvia, anche per le spese del giudizio di cassazione, alla Corte d’Appello di Milano, in diversa composizione.

 

Licenziamento del part-timer che rifiuta il tempo pieno
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