La condotta mobbizzante del datore di lavoro giustifica il rifiuto del lavoratore di eseguire la propria prestazione con conservazione della retribuzione.

Nota a Cass. 25 settembre 2018, n. 22684

Fabio Iacobone

La persecuzione, finalizzata all’emarginazione del dipendente, posta in essere dal datore di lavoro con intento vessatorio, carattere di sistematicità e continuità temporale, è idonea ad assumere portata lesiva del lavoratore ai sensi dell’art.  2087 c.c.

Il principio è stabilito dalla Corte di Cassazione (25 settembre 2018, n. 22684) con riguardo ad un caso di svuotamento delle mansioni con conseguente condizione di emarginazione e inoperosità cui era seguita l’assenza dal lavoro del dipendente.

Secondo la Cassazione, nella fattispecie, il lavoratore non si era presentato sul luogo di lavoro, ponendo in essere un atteggiamento difensivo, atto a preservare (o non aggravare ulteriormente) il proprio stato di salute. Tale comportamento è coerente con il principio, più volte ribadito dai giudici di legittimità, in base al quale “l’esistenza di condotte datoriali ritenute illegittime non autorizza il lavoratore a rifiutarsi aprioristicamente, e senza un eventuale avallo giudiziario (conseguibile anche in via d’urgenza), di eseguire la prestazione lavorativa richiesta, in quanto egli è tenuto ad osservare le disposizioni impartite dall’imprenditore, ex artt. 2086 e 2104 c.c.., e può legittimamente invocare l’eccezione di inadempimento, ex art. 1460 c.c., solo in caso di totale inadempimento dell’altra parte (fra le tante, v. Cass. n. 18866/2016) o in presenza di un inadempimento che sia tanto grave da incidere in maniera irrimediabile sulle esigenze vitali del lavoratore medesimo” (v. Cass. n. 836/2018, in questo sito con nota di A. LARDARO, Demansionamento, rifiuto di lavorare e legittimità del licenziamento, e n. 12696/2012).

Ne consegue che “in caso di violazione da parte del datore di lavoro dell’obbligo di sicurezza di cui all’art. 2087 cod. civ., è legittimo, a fronte dell’inadempimento altrui, il rifiuto del lavoratore di eseguire la propria prestazione, conservando, al contempo, il diritto alla retribuzione in quanto non possono derivargli conseguenze sfavorevoli in ragione della condotta inadempiente del datore” (Così, anche Cass. n. 6631/2015).

Tali presupposti, di gravità dell’inadempimento datoriale ricorrono, secondo il Collegio, nel caso di specie. Nello specifico, la Corte territoriale, confermata dalla Cassazione, aveva ritenuto che la mancata presentazione del dipendente nell’ultima sede assegnatagli costituiva una “reazione di difesa da parte del lavoratore mobbizzato e malato, il quale non si sentiva di affrontare una situazione foriera di nuovi disagi e non aveva più altri rimedi a sua disposizione, giacché inutili erano state le richieste di essere assegnato ad un reparto più idoneo, né egli poteva proseguire il periodo di malattia”. Pertanto, alla stregua della situazione venutasi a creare, il rifiuto opposto dal lavoratore non poteva considerarsi arbitrario e ingiustificato, tale cioè da legittimare la sanzione espulsiva.

Il giudice territoriale aveva poi proceduto ad applicare le cd. tabelle milanesi, tendenzialmente omnicomprensive del danno non patrimoniale (v. Cass. n. 25817/2017 e n. 20111/2014). Tali tabelle per la liquidazione del danno non patrimoniale derivante da lesione all’Integrità psico-fisica, secondo la Cassazione, “costituiscono valido e necessario criterio di riferimento ai fini della valutazione equitativa ex art. 1226 c.c., le quali tengono conto pure del c.d. “danno esistenziale”, ossia dell’alterazione/cambiamento della personalità del soggetto che si estrinsechi in uno sconvolgimento dell’esistenza, e cioè in radicali cambiamenti di vita (cfr. Cass. n. 14402/2011 e n. 24473/2014). Le diverse componenti del danno non patrimoniale (il danno biologico, cioè la lesione della salute, il danno morale, cioè la sofferenza interiore, e il danno dinamico-relazionale, altrimenti definibile “esistenziale”, e consistente nel peggioramento delle condizioni di vita quotidiane, risarcibile nel caso in cui l’illecito abbia violato diritti fondamentali della persona), seppure autonome, devono comunque dar luogo ad una valutazione globale dell’unitario danno non patrimoniale”.

Mobbing e rifiuto della prestazione
%d blogger hanno fatto clic su Mi Piace per questo: