La violazione dei criteri di scelta dei lavoratori da collocare in CIGS fissati dal ccnl non comporta la riammissione in servizio, ma determina solo il risarcimento del danno.

Nota a Cass. 20 aprile 2021, n. 10378

Rossella Rossi

Nella scelta dei lavoratori da porre in cassa integrazione guadagni straordinaria (CIGS), qualora siano violati i criteri stabiliti in sede di contrattazione collettiva, al dipendente ingiustificatamente sospeso non è riconosciuto il diritto alla riammissione in servizio, ma solo quello al risarcimento del danno.

Questo, il principio ribadito dalla Corte di Cassazione 20 aprile 2021, n. 10378, in conformità con la Corte di Appello di Cagliari  sezione distaccata di Sassari, n. 211/2017, la quale aveva accolto il ricorso di un lavoratore avente ad oggetto la declaratoria dell’illegittimità della collocazione in CIGS dell’istante con sospensione a zero ore per la mancata comunicazione alle organizzazioni sindacali dei criteri di individuazione del personale da sospendere e non rispondendo al vero che la sospensione aveva coinvolto tutto il personale dipendente con la medesima professionalità dell’istante.

La Cassazione rileva che, in linea con il consolidato orientamento giurisprudenziale, la violazione dei criteri per la scelta dei lavoratori da porre in cassa integrazione, stabiliti in sede di contrattazione collettiva, non comporta, per il lavoratore ingiustificatamente sospeso, il diritto alla riammissione in servizio. Nella fattispecie, infatti, si tratta di un facere infungibile che si pone fuori della sfera di operatività dell’art. 18 Stat. Lav. e determina soltanto il diritto al risarcimento del danno, nella misura corrispondente alla differenza tra le retribuzioni spettanti nel periodo di ingiustificata sospensione del rapporto ed il trattamento di cassa integrazione corrisposto nello stesso periodo (v. fra le altre, Cass. n. 24738/2015). Ne consegue altresì l’assoggettamento del diritto alla prescrizione ordinaria decennale e non alla prescrizione breve quinquennale (cfr. Cass. nn. 25139/2019 e 10483/2019, in q. sito con nota di G. ROSSINI).

Nel caso sottoposto al giudizio della Cassazione, le comunicazioni riportavano soltanto il numero massimo dei lavoratori da porre in CIGS, non consentendo “di ritenere che interessati alla sospensione a zero ore fossero tutti i dipendenti dell’unità produttiva e neppure tutti coloro che svolgevano le medesime mansioni” del ricorrente.

L’indicazione generica del numero di coloro che subiranno la sospensione in CIGS impedisce infatti la preventiva conoscibilità dei fattori che in concreto determineranno la scelta di un lavoratore piuttosto che di un altro. Mentre, come noto, secondo la giurisprudenza (v. Cass. n. 22540/2013 e Cass. n. 25100/2013), “la specificità dei criteri di scelta consiste nell’idoneità dei medesimi ad operare la selezione e nel contempo a consentire la verifica della corrispondenza della scelta ai criteri…. un criterio di scelta generico non è effettivamente tale ma esprime soltanto un generico indirizzo nella scelta”.

Nella fattispecie, la Corte territoriale ha condannato la Società datoriale “al pagamento della differenza tra la normale retribuzione di fatto ed il trattamento percepito a titolo di CIGS oltre al danno non patrimoniale nella componente biologica, esistenziale, morale e professionale, riconoscendo il danno patrimoniale con riferimento a tutti i periodi di sospensione nell’importo determinato in sede di CTU ed il danno non patrimoniale nella sola componente professionale”.

CIGS: violazione dei criteri e risarcimento del danno
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