L’omessa adozione della mascherina protettiva durante il servizio scolastico giustifica il licenziamento in tronco del lavoratore.

Nota a Trib. Trento 8 luglio 2021

Maria Novella Bettini

L’insegnante delle scuole dell’infanzia è tenuta ad indossare la mascherina pena il licenziamento per giusta causa.

Questa, in sostanza, la decisione del Tribunale di Trento (8 luglio 2021) in relazione all’impugnazione del licenziamento disciplinare intimato ad una insegnante di scuola d’infanzia dopo che la dirigente del servizio aveva segnalato che la dipendente, durante il servizio scolastico, non indossava la mascherina protettiva per le vie aeree prevista dalle vigenti linee di indirizzo per la tutela della salute e sicurezza di lavoratori ed utenti.

Il suo rifiuto di indossarla era peraltro persistito nonostante i ripetuti inviti da parte della preposta e delle colleghe, ed anche a fronte di uno specifico ordine di servizio della Dirigente in seguito al quale si era reso necessario sospendere la lavoratrice dal servizio in via cautelare a causa della predetta condotta.

La ricorrente aveva addotto difficoltà respiratorie permanenti, a seguito di un grave sinistro stradale che le aveva causato seri e permanenti problemi di salute, tra cui un trauma toracico e gravi contusioni polmonari bilaterali con falda di pneumotorace. Ma, secondo il Tribunale, non aveva adeguatamente dimostrato i suoi problemi respiratori ed il loro eventuale aggravamento in seguito al persistente utilizzo della mascherina che, a suo parere, le avrebbe provocato una serie di disturbi tra i quali “l’aumento dell’insufficienza respiratoria o l’ipercapnia, ossia l’aumento dell’anidride carbonica nel sangue, o infine l’ipossia, ovvero carenza di ossigeno”. La ricorrente non aveva infatti prodotto alcun certificato rilasciato da sanitari che attestasse la sua impossibilità per ragioni di salute a indossare la mascherina.

Di contro, l’istituto scolastico aveva specificato che la ricorrente poteva svolgere la sua prestazione di insegnante a contatto con i bambini, compresi quelli portatori di bisogni educativi speciali, con la raccomandazione di “un uso regolare della mascherina del tipo FFp2 (senza valvola espiratoria) al posto della chirurgica”.

Il Tribunale rileva che la valutazione espressa dal medico competente appare pienamente conforme alla prescrizione, contenuta nelle “Linee di indirizzo per la tutela della salute e sicurezza – Scuole dell’infanzia laddove dispongono che: “L’utilizzo della mascherina FFP2 senza valvola (vedi Allegato per modalità di utilizzo) … da parte del personale, è consigliabile in specifiche situazioni, che andranno valutate singolarmente caso per caso”.

Tali Linee d’indirizzo dispongono altresì che:

– “tutte le persone che entrano nei servizi socio-educativi, a partire da quando sono nelle loro pertinenze anche all’aperto, escluso i bambini frequentanti il servizio, devono indossare la mascherina. Per le mascherine è necessario informare il personale in particolare su quando vanno utilizzate dove sono messe a disposizione e dove smaltirle;

– i bambini non devono indossare la mascherina mentre la deve indossare tutto il personale e chiunque entri nella struttura, anche solo nelle sue pertinenze all’aperto…

– i servizi socio-educativi per la prima infanzia devono attrezzarsi e fornire i dispositivi al personale (mascherina e altro).

– deve essere predisposta un’informativa relativa ai dispositivi e alle misure igieniche, in particolare mascherine, guanti…”.

Inoltre, il “Documento di indirizzo e orientamento per la ripresa delle attività in presenza dei servizi educativi e delle scuole dell’infanzia “per l’anno scolastico 2020/2021″ ribadisce che “il personale educativo è tenuto, nello svolgimento delle proprie attività, a indossare la mascherina e a seguito del quale è stato redatto dallo stesso Ministero dell’Istruzione in data 6 agosto 2020 il Protocollo d’intesa per garantire l’avvio dell’anno scolastico nel rispetto delle regole di sicurezza per il contenimento della diffusione di Covid 19″, che prescrive: ‘E’ obbligatorio per chiunque entri negli ambienti scolastici, adottare precauzioni igieniche e l’utilizzo di mascherina’”.

Come noto, le mascherine sono considerate dal legislatore un dispositivo di protezione individuale (art. 16, co.1, D.L. n. 18/2020, conv. in L. n. 27/2020). Inoltre, l’art. 20, co.1, D.LGS. n. 81/2008 prescrive che: “Ogni lavoratore deve prendersi cura della propria salute e sicurezza e di quella delle altre persone presenti sul luogo di lavoro, su cui ricadono gli effetti delle sue azioni o omissioni, conformemente alla sua formazione, alle istruzioni e ai mezzi forniti dal datore di lavoro”; in particolare, il successivo co.2, lett. d), impone ai lavoratori di “utilizzare in modo appropriato i dispositivi di protezione messi a loro disposizione”.

E l’art. 16, co.1, D.L. n. 18/2020,  stabilisce in particolare che: “Per contenere il diffondersi del virus COVID-19, fino al termine dello stato di emergenza di cui alla delibera del Consiglio dei ministri in data 31 gennaio 2020, sull’intero territorio nazionale, per tutti i lavoratori e i volontari, sanitari e no, che nello svolgimento della loro attività sono oggettivamente impossibilitati a mantenere la distanza interpersonale di un metro, sono considerati dispositivi di protezione individuale (DPI), di cui all’articolo 74, comma 1, del decreto legislativo 9 aprile 2008, n. 81, le mascherine chirurgiche reperibili in commercio, il cui uso è disciplinato dall’articolo 5-bis, comma 3, del presente decreto…” (quest’ultima norma afferma che le mascherine costituiscono, “in coerenza con le linee guida dell’Organizzazione mondiale della sanità e in conformità alle attuali evidenze scientifiche”, idoneo dispositivo di protezione)”.

Il datore di lavoro è poi chiamato a rispondere, ex art. 2087 c.c., non solo per l’omessa adozione delle misure di prevenzione dei rischi presenti nel luogo di lavoro, ma anche quando manca di vigilare che di tali misure i lavoratori abbiano fatto effettivamente uso (v. fra le altre, Cass. n. 14468/2017, in q. sito con nota di A. TAGLIAMONTE e n. 2209/2016).

Tutto ciò premesso, i giudici affermano che la condotta, di cui la ricorrente si è resa responsabile, integra una giusta causa di licenziamento, provocando una lesione grave ed irreparabile dell’elemento fiduciario ed ingenerando nel datore di lavoro il legittimo dubbio circa la futura correttezza degli adempimenti da parte del prestatore (v. fra tante, Cass. n. 18195/2019, in q. sito con nota di V. DI BELLO e n. 27082/2018). In altri termini, il persistente rifiuto da parte del lavoratore di utilizzare i dispositivi di protezione individuale giustifica il licenziamento intimato all’inadempiente. Come specifica il Tribunale, infatti, va “biasimata la condotta della ricorrente, la quale ha anteposto all’interesse generale (oltre che a quelli di utenti e colleghi) proprie convinzioni personali che non trovano fondamento (contrariamente alle prescrizioni che impongono l’utilizzo della mascherina sui luoghi di lavoro, specialmente se chiusi) in conoscenze riconosciute dalla comunità scientifica perché sottoposte a severe verifiche”.

Mancanza di mascherina e licenziamento
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