Il giudice, anche qualora accerti l’insussistenza di un intento persecutorio idoneo a configurare un’ipotesi di mobbing, è comunque tenuto a valutare se possa presuntivamente ritenersi sussistente il più tenue danno da straining.

Nota a Cass. (ord.) 11 novembre 2022, n. 33428

Pamela Coti

Si può configurare lo straining quando vi siano comportamenti stressogeni scientemente attuati nei confronti di un dipendente, o anche nel caso in cui il datore di lavoro consenta, anche colposamente, di mantenere di un ambiente stressogeno fonte di danno alla salute dei lavoratori, in quanto condizione di lavoro lesiva della salute.

È quanto enunciato dalla Corte di Cassazione che, nel cassare la sentenza dei giudici di merito (App. Genova 29 gennaio 2018), ha accolto il ricorso di un lavoratore, un informatore scientifico del farmaco, che lamentava di aver subito un grave demansionamento e di essere stato vittima di continue vessazioni da parte di un proprio superiore.

Al riguardo la Cassazione ha precisato che:

  • è configurabile il mobbing ove “ricorra l’elemento oggettivo, integrato da una pluralità continuata di comportamenti pregiudizievoli per la persona interni al rapporto di lavoro e quello soggettivo dell’intento persecutorio nei confronti della vittima, ciò a prescindere dalla illegittimità intrinseca di ciascun comportamento” (Cass. 21 maggio 2018, n. 12437; Cass. 10 novembre 2017, n. 26684);
  • di contro, si configura lo straining quando “vi siano comportamenti stressogeni scientemente attuati nei confronti di un dipendente, anche se manchi la pluralità delle azioni vessatorie (Cass. 10 luglio 2018, n. 18164, in q. sito con nota di M. BONI) o esse siano limitate nel numero (Cass. 29 marzo 2018, n. 7844, annotata in q. sito da P. PIZZUTI), ma anche nel caso in cui il datore di lavoro consenta, anche colposamente, il mantenersi di un ambiente stressogeno fonte di danno alla salute dei lavoratori” (Cass. 19 febbraio 2016, n. 3291, in q. sito con nota di F. ALBINIANO);
  • entrambe le nozioni di mobbing e straining hanno natura medico-legale, non rivestono autonoma rilevanza ai fini giuridici e servono soltanto per identificare comportamenti che si pongono in contrasto con l’obbligo datoriale di protezione sancito dall’ 2087 c.c. e con la normativa in materia di tutela della salute negli ambienti di lavoro (Cass. 19 febbraio 2016, n. 3291, cit.);
  • più specificamente, in materia di straining, ai sensi dell’art. 2087 c.c., il datore è tenuto ad astenersi da iniziative che possano ledere i diritti fondamentali del dipendente mediante l’adozione di condizioni lavorative stressogene e a tal fine il giudice del merito, pur se accerti l’insussistenza di un intento persecutorio idoneo ad unificare gli episodi in modo da potersi configurare una condotta di mobbing, è tenuto a valutare se dagli elementi dedotti – per caratteristiche, gravità, frustrazione personale o professionale, altre circostanze del caso concreto – possa presuntivamente risalirsi al fatto ignoto dell’esistenza di questo più tenue danno ( n. 3291/2016, cit.; Cass. n. 18164/2018, cit.);
  • inoltre, in virtù dell’obbligo datoriale di protezione di cui all’art. 2087 c.c., in interazione con il diritto del lavoratore alle mansioni corrispondenti all’inquadramento di cui all’art. 2103 c.c., bisogna ricomprendere anche il dovere di tutelare i dipendenti da tecnopatie dovute a costrittività organizzativa all’interno del perimetro rappresentato dal complessivo dovere di tutela della salute, anche psichica.
Risarcibilità danno da straining
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