La fruizione di permessi per disabili in continuità con le giornate di festività non costituisce un abuso di diritto.

Nota a Cass. (ord.) 25 settembre 2020, n. 20243

Sonia Gioia

L’utilizzo da parte del lavoratore, portatore di handicap grave, dei giorni di permesso mensile, ex art. 33, co. 6, L. 5 febbraio 1992, n. 104 (“Legge- quadro per l’assistenza, l’integrazione sociale e i diritti delle persone handicappate”), per finalità diverse dalle esigenze di cura e in continuità con giornate festive, non configura un abuso di diritto, dal momento che lo scopo di tali permessi è quello di ristabilire l’equilibrio fisico e psicologico del prestatore necessario per godere di un pieno inserimento nella famiglia e nella società e che tali permessi non devono essere necessariamente vincolati allo svolgimento di visite mediche.

Lo ha affermato la Corte di Cassazione (ord. 25 settembre 2020, n. 20243, conforme ad App. Brescia n. 350/2018) in relazione al licenziamento per giusta causa intimato ad un lavoratore, portatore di handicap grave, per abuso dei permessi mensili, in quanto fruiti in continuità con le festività e per attività diverse dalla cura delle sue condizioni di salute.

In merito, la Corte ha ribadito che il lavoratore, affetto da grave invalidità (ai sensi degli artt. 3 e 33, L. n. 104 cit.), ha diritto di: a) fruire alternativamente di permessi giornalieri (2 ore) o mensili (3 giorni); b) scegliere, ove possibile, una sede di lavoro più vicina al domicilio; c) e di non essere trasferito in altra sede senza il suo consenso (art. 33, co. 6, L. n. 104 cit.).  Ciò, allo scopo di rendere maggiormente compatibile l’attività di impiego con il suo stato di salute nonché di “agevolare l’integrazione nella famiglia e nella società, integrazione che può essere compromessa da ritmi lavorativi che non considerino le condizioni svantaggiate sopportate” (in tal senso, CGUE 18 gennaio 2018, C-270/16; CGUE 11 aprile 2013, C-335/11 e C- 337/11).

L’assistenza del disabile e il soddisfacimento dell’esigenza di socializzazione, che rappresentano “fondamentali fattori di sviluppo della personalità” e idonei strumenti di tutela della salute psico-fisica del portatore di handicap (Corte Cost. n. 213/2016; Corte Cost. n. 158/2007; Corte Cost. n. 350/2003), sono garantiti, oltre che mediante benefici economici immediati, attraverso “varie forme di tutela indiretta”, che costituiscono un articolato sistema di welfare, anche familiare, connesso latu sensu ai doveri di solidarietà sociale (v. artt. 2, 3, 38 Cost. e L. n. 68/1999 nonché, a livello sovranazionale, Direttiva 2000/78/CE e Convenzione ONU sui diritti delle persone con disabilità, ratificata in Italia con L. n. 18/2009).

Si tratta, in particolare, di agevolazioni, “riconducibili alla logica della prestazione in servizi”, che favoriscono l’assistenza sociale in via tendenzialmente mediata, erogata, cioè, non dallo Stato, ma direttamente dai congiunti e riconosciuta anche nell’ambito dell’organizzazione aziendale.

In tale ottica, “a condizione che la persona handicappata non sia ricoverata a tempo pieno”, i dipendenti, pubblici e privati, hanno diritto a fruire, anche in maniera continuativa, di 3 giorni di permesso mensile, retribuito e coperto da contribuzione figurativa, al fine di prestare assistenza ad un familiare portatore di handicap grave, e, cioè, per lo svolgimento di tutte le attività che il soggetto non sia in grado di compiere autonomamente (art. 33, co. 3, L. n. 104 cit.) (sulla questione, v., in questo sito, Cass. n. 1394/2020, con nota di F. BELMONTE, Utilizzo distorto dei permessi per l’assistenza al familiare disabile; Cass. n. 21529/2019, annotata da F. DURVAL, Assistenza con modalità variabili al familiare disabile; Cass. n. 8310/2019, con nota di F. BELMONTE, Assistenza familiare del disabile; Cass. n. 17968/2016, con nota di F. BELMONTE, L’utilizzo distorto dei permessi ex art. 33, co. 3, L. n. 104/92 legittima il licenziamento; Cass. n. 9217/2016, annotata da K. PUNTILLO, Permessi per assistenza disabili, controllo dell’agenzia investigativa, licenziamento).

Dal momento che l’assenza dal lavoro comporta un sacrificio organizzativo per l’impresa, giustificabile solo a fronte di un’effettiva attività di assistenza, riconosciuta dal legislatore come meritevole di superiore tutela, l’utilizzo dei permessi per attendere esigenze diverse “integra l’abuso del diritto e viola i principi di correttezza e buona fede, sia nei confronti del datore di lavoro che dell’Ente assicurativo, con rilevanza anche ai fini disciplinari” (Cass. n. 17968/2016, cit.).

Pertanto, il diritto di godere dei permessi da parte del familiare deve porsi in relazione diretta con la finalità contemplata dalla legge, e, cioè, con l’assistenza al disabile, mentre il medesimo beneficio è fruibile dal portatore di handicap grave anche per attività diverse dallo svolgimento di visite mediche o interventi di cura, in quanto mira a ristabilire l’equilibrio psicologico e fisico del lavoratore e a favorirne l’inserimento nella famiglia e nella società.

In attuazione di tali principi, la Cassazione ha ritenuto ingiustificato il licenziamento irrogato al dipendente invalido per aver fruito dei permessi per finalità personali e ricreative, ordinando la reintegrazione sul luogo di lavoro (ex art. 18, co. 4, L. 20 maggio 1970, n. 300, c.d. Statuto dei Lavoratori).  Ciò, perché tali benefici sono riconosciuti “in ragione di una più agevole integrazione familiare e sociale”, senza che il loro godimento debba essere necessariamente diretto alle esigenze di cura.

Permesso disabili in continuazione con giorni festivi
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