Vìola l’obbligo di fedeltà il giornalista che presta lavoro a favore di terzi concorrenti, traendo utilità personali attraverso la duplicazione di articoli.

Donatella Casamassa

Costituisce violazione dell’obbligo di fedeltà di cui all’art. 2105 c.c., integrato dai generali doveri di correttezza e buona fede di cui agli artt. 1175 e 1375 c.c. nello svolgimento del rapporto contrattuale, l’abuso di posizione attuato attraverso azioni concorrenziali e/o violazioni di segreti produttivi o condotte che siano in contrasto con i doveri connessi all’inserimento del dipendente nella struttura e nell’organizzazione dell’impresa o che creino situazioni di conflitto con le finalità e gli interessi della medesima o che siano, comunque, idonee a ledere irrimediabilmente il presupposto fiduciario del rapporto (cfr., fra le tante, Cass. n. 14249/2015; Cass. n. 144/2015; Cass. n. 6501/2013; Cass. n. 5629/2000).

È quanto affermato dalla Cassazione (29 marzo 2017, n. 8131), la quale ha colto l’occasione per ribadire alcuni principi ormai consolidati in tema di sanzioni disciplinari e di violazione dell’obbligo di buona fede, precisando che il giudice chiamato a pronunciarsi sulla legittimità di un licenziamento disciplinare deve, dopo averne accertato in primo luogo la sussistenza in punto di fatto, controllare che l’infrazione contestata sia astrattamente sussumibile sotto la specie della giusta causa o del giustificato motivo soggettivo di recesso (ossia che costituisca notevole inadempimento degli obblighi del dipendente) e, in caso di esito positivo, deve poi apprezzare in concreto  la gravità della condotta. In tale valutazione, è comunque sempre necessario che essa rivesta il carattere di grave negazione dell’elemento essenziale della fiducia e sia idonea a ledere irrimediabilmente l’affidamento circa la futura correttezza nell’eseguire la prestazione dedotta in contratto, in quanto sintomatica di un certo atteggiarsi del dipendente rispetto agli obblighi che gli fanno carico (cfr., Cass. n. 15058/2015; Cass. n. 2013/2012; Cass. n. 2906/2005; Cass. n. 16260/2004; Cass. n. 5633/2001).

In altri termini, la proporzionalità della condotta deve essere indagata sia in astratto, rispetto alle previsioni pattizie e alla nozione legale di giusta causa o giustificato motivo, sia in concreto, vale a dire in relazione alle singole circostanze oggettive e soggettive che l’hanno caratterizzata, come di tutti gli altri elementi idonei a verificare se il richiamo di legge sia adeguato alla fattispecie concreta (cfr., Cass. n. 8456/2011; Cass. n. 736/2002; Cass. n. 1144/2000)..

Ad avviso della Cassazione, nel caso specifico, riguardante il licenziamento di un giornalista che aveva prestato la propria attività lavorativa presso due distinte testate, i Giudici d’Appello di Campobasso, nel riformare integralmente la sentenza di prime cure, hanno correttamente valutato la gravità della condotta tenuta dal giornalista, che, per lungo tempo e senza aver informato i suoi superiori, aveva in tal modo conseguito “utilità esclusivamente personali grazie ad una sostanziale duplicazione sul quotidiano “Il Centro” di articoli che aveva già redatto per conto di “Primo Piano Molise”, senza neppure dover investire altra energia lavorativa che non fosse stata già remunerata dal proprio datore di lavoro”. Nel caso di specie, la lesione dell’obbligo di fedeltà ha assunto le forme della prestazione d’opera a favore di terzi concorrenti, che costituisce ipotesi paradigmatica di violazione degli artt. 2105, 1175 e 1375 c.c.

Legittimo il licenziamento del giornalista che, senza autorizzazione, presta lavoro per due testate distinte
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